di: Valeriano Iosca, Filippo Urban, Andrea Marcante,
Giordano Bonera, Alberto Morandin,
Leonardo vitali
Siamo a malo in zona castello, un luogo che ricorre nelle esperienze, nella formazione,
nella memoria e nelle parole di luigi meneghello.
i brombóli sono i maggiolini. meneghello li racconta come cari compagni di scuola e ottima
moneta di scambio. in questo brano, i brombóli vengono fatti gareggiare sul monumeto ai
caduti della prima gueerra mondiale. loro salgono ma tutti cadono, prima o dopo cadono
tutti. di maggiolini un tempo ce n’erano tanti, molto tempo fa ancora di più,
oggi sono per lo più spariti.
I brombóli muoiono tran-quillamente nel sonno; e siccome dormicchiano un po’ sempre, sono esposti a un rischio continuo. il brombólo è soprattutto un arrampicatore: appoggiandolo alle superfici del monumento ai caduti in castello, lui s’aggrappa al marmo e ràmpica pazientemente. salivano sfruttando le minute rugosità del marmo, e i solchi delle lettere; cadevano senza preavviso, e si sentiva la piccola bòtta della nuca ai piedi dei paretoni bianchi. il brombólo non muore quando batte la nuca; lo si mette in infermeria, a una dieta di minestra che si versa direttamente col cucchiaio sopra il malato, questi mangia e s’addormenta, ma spesso, secondo la sua natura, muore nel sonno con la pancia piena.
ricordiamo ancora con affetto i nostri brombóli migliori, e specialmente quello bravissimo che si chiamava soga. gli altri partivano sull spigolo a destra, raggiungevano subito Zanella e Vanzo, più raramente Sterchielle e Saggim , qualche volta anche i primi Famato; uno si spinse una volta fino in mezzo alle p che sono dieci, poi cadde, batté la nuca e morì in seguito all’infermeria.
ma soga si spostava subito vivacemente a sinistra, passava lain, passava lappo , e poi su: su per Galizian, fratello di mia zia lena, via per festa, dove già stentavamo ad arrivare per fargli sicurezza con la mano. quando passava i due destri, entrambi 16 maggio 1916, non ci arrivavamo più neanche in punta di piedi; scendevamo dalla base e stavamo semplicemente a guardare.
era solo ora. solo con de marchi antonio, classe ’95, con l’altro de marchi un anno più vecchio; solo col lampo del sole sulle roccette dove c’è cinaeale. avevamo paura per lui, lo vedevamo salire lassù di riga in riga, pareva che non finisse-ro mai. ma quanti ne sono morti in questo maledetto paese? si trepidava per soga mandato così allo sbaraglio senza una vera ragione, piccolo lassù come un ometto che s’arrampichi sul dente del pasubio; come l’ultimo nome che si vede appena la in cima, Agosti Alessandro, zio di sandro che rinnova il nome.
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