Testo: Sara Benaglia
Layout: Matteo Bellissimo
Andrea Zanoletti è il Direttore Artistico del Museo delle Armi Bianche e delle Pergamene a Gromo, in provincia di Bergamo. Gli abbiamo posto alcune domande per scoprire questo spazio, che custodisce una storia eccezionale.
Sara Benaglia: Nel 2014 è stato inaugurato il MAP – Museo delle Armi bianche e delle Pergamene, che si trova nella parte del loggiato al secondo piano dI palazzo Milesi a Gromo. Come è nato questo museo? Perché è stata proprio Gromo a dedicare uno spazio rappresentativo alle armi bianche in Val Seriana.
Andrea Zanoletti: Il museo MAP è stato ideato e progettato per esporre al pubblico la collezione privata permanente di reperti e armi bianche ‘Santus’, che racchiude incudini e mole da fucina, alabarde di diverse tipologie, lame senza fornimento (pomolo e guardia), spade e daghe (pugnali), oltre alle due collezioni di pergamene provenienti dall’archivio comunale di Gromo e dal Fondo Valerio Milesi, ultimo proprietario dell’omonimo palazzo. Tutti i pezzi sono originali e databili tra il XV e il XVII secolo. Nel 2017 è stata aggiunta una piccola sezione dedicata alla mineralogia per completare la filiera produttiva siderurgica di quel periodo storico.
SB: Come si forgiavano le armi bianche nel periodo di massimo fervore di questa ‘industria del ferro’ in Alta Valseriana?
AZ: A partire dal XV secolo la materia prima proveniva già dalla vicina Valle di Scalve, che all’epoca includeva anche i territori dell’attuale comune di Valbondione. Dai minerali ferrosi coltivati nelle miniere si ottenevano grandi lastroni di ghisa, i Quadroni, poi ridotti in vergelle (tondini), nelle fucine definite ‘grosse’ dove avvenivano le lavorazioni più grossolane. I mastri spadai, poi, con l’utilizzo dei magli idraulici mossi dalle acque del fiume Goglio, con il metodo della tempra dell’acciaio a base di olii vegetali, con molteplici di procedimenti chimici tramandati a voce e con la molatura, ottenevano migliaia di lame di straordinaria durezza e perfezione.
SB: L’industria delle armi bianche era dunque legata alla ricchezza mineraria del territorio bergamasco. Cosa rimane oggi di queste risorse? Perché questo mercato ha subito una brusca frenata?
AZ: Oggi purtroppo restano solo alcune tracce della coltivazione (estrazione) mineraria che si è conclusa nei primi anni ottanta del Novecento, dopo che, a periodi alterni, l’attività siderurgica aveva avuto inizio nell’età del rame in Alta Valseriana, come testimoniano i ritrovamenti dei siti archeologici di Parre (Oppidum) e di Castione della Presolana (Castellum). La produzione delle armi bianche a Gromo si concluse con la rovina del Goglio del 1 novembre 1666, evento catastrofico nel quale tutti i magli e le fucine di Gromo furono distrutti dalla furia del torrente Goglio che spazzò via gli edifici di un’intera contrada senza lasciarne più alcuna traccia, oltre a provocare più di sessanta vittime.
SB: Perché Gromo era chiamata in passato “piccola Toledo”?
AZ: il borgo di Gromo, oltre ad avere ottenuto i riconoscimenti recenti di Bandiera Arancione del Touring Club e dei Borghi più belli d’Italia, è ricordato nella storia come la ‘Piccola Toledo per le numerose lame e alabarde di diverse forme che furono prodotte e vendute in tutta Europa tra il XV secolo e il 1666. Alcune di queste lame riportavano il punzone ‘EN TOLEDO’ per avere canali preferenziali nella commercializzazione verso i mercati italiani e internazionali più redditizzi. È probabile che Gromo abbia avuto legami più stretti con la Spagna, l’ipotesi è rafforzata dalla dedicazione della chiesa parrocchiale ai Santi Giacomo il Maggiore e Vincenzo Levita e dal cognome Gonzales dell’organista Antonio, che fu maestro del grande musicista bergamasco Gaetano Donizetti.
SB: Nel Museo di cui tu sei curatore sono presenti alcuni affreschi. Quando sono stati realizzati e quali storie raccontano?
AZ: il museo MAP conserva un’unicum europeo nelle sue sale espositive, Sala delle Armi, uno scrigno di affreschi ben conservati, databili tra il XV e il XVI secolo, di tipico gusto centro alpino che raffigurano lo stemma della potente famiglia Ginami che edificò l’attuale Palazzo Milesi nel 1456, fregi allegorici, armaioli e compratori, tra i quali spicca la figura del ‘Moro con la lama da Storta’ con il turbante come copricapo, a testimonianza che i mercanti raggiungevano Gromo per acquistare le preziose armi bianche da terre molto lontane.
SB: Nella collezione permanente c’è una spada o un’arma da taglio a cui sei particolarmente legato?
AZ: Si, si tratta di un meraviglioso esemplare di spada ‘a tazza’ forgiata dello spadaio Johannes Zuchini, cognome da cui derivò successivamente ‘Ginami’, famiglia proprietaria anche del castello che si affaccia sull’antica piazza del ‘mercato delle Armi’ di Gromo. Johannes, esperto conoscitore delle tecniche di forgiatura delle lame da spada è citato nelle fonti storiche non solo in territorio gromese ma anche in area bresciana, a Nave e a Caino. Questo legame tra Gromo e Brescia, motivato da intensi scambi commerciali oltre che di informazioni essenziali in tema di lavorazione di armi bianche tra il XV e il XVII secolo, è il nostro portabandiera per la Capitale della Cultura 2023.
SB: Hai mai ricevuto registi nel tuo museo interessati a sviluppare una storia a partire da ciò che vi è conservato?
AZ: Nel 2016 la Fondazione Donizetti mi contattò per realizzare una campagna fotografica sulle armi bianche esposte nelle sale del museo MAP, curata dal fotografo Gianfranco Rota – Studio UV, che fu pubblicata nello stesso anno su ‘Quaderni della Fondazione Donizetti – QF 48’ dell’opera musicale ‘Rosmonda d’Inghilterra. Mi si affaccia un pugnal’. Il piccolo volume è stato senza dubbio un veicolo di promozione importante per far conoscere alcuni tra i pezzi più particolari e significativi della collezione privata permanente Santus e il museo civico gromese che merita una visita accurata.
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