Testo: ELIA ZUPELLI
Art & Layout: NICOLÒ TACCONI
Dai casoncelli allo spiedo, dagli “Scarpinocc“ agli “oselì scapacc”, il grasso animale è una costante imprescindibile nelle cucine tipiche delle due città. Gusto ricco e sfrigolante scioglievolezza, il burro imperversa anche nei dolci: il Bossolà a Brescia e la torta “Polenta e osei” a Bergamo mettono il punto esclamativo alle grandi abbuffate Capitali come ordigni nucleari al colesterolo. Sensi di colpa? Niente paura, dò fitine de salàm e tutto passa.
La Capitale Italiana della Cultura è una Repubblica sul burro. Denominatore comune iper calorico e grassofondaio, sinonimo di sostanza e rotondità, di una ricchezza che esula dal venale per assurgere a un più esteso senso di sontuosità gastronomica, di rotondità “cotta e mangiata”, di sfrigolante scioglievolezza che tutto avvolge e tutto ammanta. Meglio se aromatizzata con qualche foglia di salvia, che conferisce il tradizionale slancio balsamico.
Come nel caso dei brescianissimi “casonsei”, un velo di pasta quasi trasparente ripieno di pane, formaggio, carne, erbette dell’orto pestate, brodo e appunto serviti irrorati di burro nocciola e generose (over)dosi di Grana grattugiato per sublimare la miracolosa alchimia del gusto. Barbariga e Longhena, due piccoli comuni della Bassa bresciana già alla ribalta nazionalpopolare come cultori della materia, si contendono lo scettro della miglior ricetta in provincia con folkloristico antagonismo e secolare campanilismo. Provare per credere. Diversi nella forma, molto simili nella sostanza, sono invece gli “Scarpinocc” tipici di Parre, in Val Seriana, che a loro volta rivaleggiano con il classico casoncello bergamasco, dove regola aurea vuole un mix di carni nella farcia (manzo e maiale) e la pancetta a rinforzo del condimento. Che di base è però sempre lo stesso: burro, ovviamente. A litri, senza ritegno, in barba a qualunque buonsenso o posologia salutista.
Confidenzialmente detto “botèr” nella sua accezione primordiale-vernacolare, il burro scorre a fiumi anche in altri piatti simbolo che accomunano le due culture gastronomiche: basti pensare al coniglio, cotto lentamente in casseruola o arrostito al forno, purché affogato in burro profumato con aglio e rosmarino; oppure ancora allo spiedo bresciano, un culto profano in cui il nostro beneamato non è solo un comprimario ma rappresenta un vero e proprio ingrediente protagonista, che per almeno cinque-sei ore di lenta cottura su brace morbida – previa appunto spiedatura sulle apposite “forcole” – accompagna, mantenendo morbidi all’interno e croccanti, quasi glassati all’esterno, i vari pezzetti di lonza o coppa suina arrotolati (i cosiddetti “mumbulì”), pollo, costine e uccellini da cacciagione (ovviamente quelli liberamente cacciabili).
A Bergamo l’interpretazione del tema è duplice: “polenta e osei”, cotti cioè in padella con abbondante intingolo naturalmente a base di burro, cui s’accoda una versione meno hardcore ma non meno tipica, ovvero gli “oselì scapacc” (letteralmente: uccellini scappati), che in realtà non hanno nulla a che fare con i volatili, trattandosi di fettine di carne di manzo arrotolate con prosciutto cotto o pancetta, una fetta di formaggio sottile e salvia.
Anche qui, l’unica certezza è una e soltanto una: cottura nel burro! Materia prima d’elezione che nobilita anche la polenta – accompagnamento per antonomasia ai manicaretti sopra citati, tipico di entrambe le province: nelle valli bergamasche diventa “taragna”, ovvero potenziata con formaggi e altro burro fuso – e dulcis in fundo caratterizza pure i dessert principi delle due città: il Bossolà, la ciambella bresciana soffice come una nuvola, il cui nome deriverebbe dal celtico bés ‘mbesolàt (serpente attorcigliato), è infatti per metà composto di burro; a Bergamo il pranzo della domenica si chiude invece con “Polenta e osei”, torta a forma di cupola che ricalca le fattezze dell’omonima preparazione salata, salvo poi svelare un cuore letalmente glicemico a base di pan di spagna, cioccolato, marzapane, crema al triplo burro.
Se tutto ciò fosse troppo per fegati poco allenati, la Capitale Italiana della Cultura offre comunque una serie di altre tipicità decisamente più light: salami e salumi, insaccati da pentola, una miriade di formaggi, di malga d’alpeggio Bagòss e Taleggio, bigoli col pestöm, trippa, manzo all’olio, tinca al forno…una misticanza con un filo d’olio extravergine d’oliva, gardesano o del lago d’Iseo, allevierà poi eventuali sensi di colpa per la compilation di attentati al colesterolo propiziati dalle grandi abbuffate Capitali. Tanto la dieta si inizia sempre di lunedì.
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