testo: MARCO SENALDI
Il sogno di una comunità armoniosa è antico quanto l’uomo. È straordinario quanto filosofi e pensatori di tutte le razze e latitudini, da Confucio a Lenin, da Platone a Walt Disney, si siano prodigati nel piacevole sport di immaginare società ideali. Utopie, eliopoli, comunità operose, falansteri, filadelfie, nomadelfie, città ideali, New Harmony, ma anche Disneyland, Tomorrowland e Fantasylandia, sono tutti progetti, insieme urbanistici e politici, di convivenza pacifica ed equilibrata, che in alcuni casi hanno anche preso corpo e forme reali.
Purtroppo, l’apparenza equilibrata e solare di questo genere di comunità “solidali”, fatte di lavoratori in serena collaborazione, di uffici con eserciti di obbedienti impiegati, di traffico silenzioso e disciplinato, insomma di società “a misura d’uomo”, senza rivalità né interne né esterne, funziona molto spesso come un paravento ideologico. È bizzarro come costringere gli uomini in gabbie, per quanto dorate, sia il modo migliore per demoralizzarli oppure per polarizzarne l’aggressività. Oltre a numerosi episodi storici, anche recenti, il cinema del genere distopico ha svelato come il paradiso dell’unanimità, per quanto perfettamente edificato e dal design accattivante, finisce in un attimo per somigliare a un inferno atroce e senza redenzione: basti pensare alla trappola letale in cui si trasforma il più bel grattacielo della città, a causa di un (prevedibile) cortocircuito (Inferno di cristallo, 1974), piuttosto che dell’incubo ipersorvegliato nella Seaside town di Truman Show (1998), o alla nitida e futuristica urbe di Alphaville, dove però i dissidenti vengono falciati da raffiche di mitra (1965) o della biopoliticamente corretta comunità di Gattaca (1997), che nondimeno esclude chiunque non sia fisicamente perfetto.
Viene da supporre allora che, forse, l’errore sta all’origine – cioè, nel l’ostinarsi a credere che all’uomo piaccia l’unità, quando, invece, il motore di tutte le cose del mondo è un sano antagonismo. Senza i poli positivo e negativo non ci sarebbe elettricità, senza la Pepsi-cola, la Coca-cola non sarebbe la stessa cosa, e probabilmente il Parmigiano Reggiano non si sforzerebbe di preservare la sua alta qualità se non fosse pur sempre minacciato dal concorrenziale Grana Padano.
Non so se esiste una statistica al riguardo, ma ho personalmente osservato che in territori geograficamente circoscritti, come le isole, i gruppi umani spesso non formano (come ci si aspetterebbe) un’unica comunità, ma due, a volte in antagonismo: Hispaniola è divisa fra Repubblica di Haiti e Repubblica Dominicana, Timor è divisa tra Timor Est e Timor Barat (Indonesia); la piccolissima isola di Market è per metà svedese e per metà finlandese, e, per considerare l’Italia, tutti conoscono a Capri l’esistenza di due comuni, Capri e Anacapri, assai gelosi della propria autonomia.
Possiamo scandalizzarci fin che vogliamo di questo fenomeno, bollandolo come vieto campanilismo o, peggio, come ottusità politica, ma occorre riconoscere che questa “disarmonia prestabilita” ha anche un carattere benefico, dato che impedisce provvidenzialmente di cascare in un fasullo unanimismo.
E infine, nella nostra “sacra” Lombardia, le città di Bergamo e Brescia non incarnano forse questa eterna tensione antagonista? Ma non è forse proprio questa perenne dialettica, fatta di profonda solidarietà, ma anche di schietta rivalità, il sale e il lievito delle vere comunità?
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