La corsa di Mazzone

Art: ALESSANDRO SCHIAVONE 

Dall’archivio magnetico del siòr Carletto, l’ultimo degli allenatori “romantici”, riaffiora il memorandum di una domenica di ordinaria follia. La battaglia più epica e infuocata dai tempi della Malamorte. “Se famo il 3 a 3 vengo sotto a curva…”. Il resto è storia. Mito, leggenda, realtà. E pure un po’ poesia.

“Ve racconto quella corsa, perché quel 30 Settembre 2001 nun me lo scordo più. La data è indelebile, il derby nel calcio è proprio una brutta bestia, ne ho affrontati così tanti nella mia carriera che avverto a occhi chiusi quel vento che scuote lo stadio, quella tensione densa, fra chi sta seduto in curva e chi va in campo. È il giorno di Brescia-Atalanta. Segnato com’ero dalle tante precedenti esperienze non avevo nessun desiderio di andare a ‘cercare rogna’ come si dice a Roma, gettando benzina sul fuoco di due tifoserie che non si sono mai amate. Invece, ciò che accadde all’interno dello stadio mi colse di sorpresa, mai successo in quasi 40 anni di carriera. Andammo in vantaggio con Baggio, ci fu grande gioia in panchina e festa sugli spalti, forse troppa tanto che l’Atalanta ribaltò il risultato portandosi sul 3 a 1. 

Cominciai a sentire un brontolio come quello di un vulcano prima dell’eruzione. A fine primo tempo arrivarono alle mie orecchie cori sempre più forti, sempre più beceri che mi trafissero il cuore come tante spine. Parole che non accettai e che non potrei mai accettare da nessuno: ‘Carletto Mazzone romano de merda, Carletto Mazzone figlio di puttana’. Capii che non era solo un’offesa nei miei confronti, ma era una cattiveria gratuita che mi colpiva negli affetti più profondi. Dissi al mio vice Menichini: ‘Nun ce sto, nun ce vedo più, me stanno a fà impazzì de rabbia’. 

Il motivo è in un episodio familiare. Intimo. Sono un uomo che ha avuto la disgrazia di perdere la madre quand’era ancora giovanissima. Mi è morta tra le braccia, proprio mentre la stavo spostando per adagiarla in maniera più comoda per lei, esalò il suo ultimo respiro. Improvvisamente se ne andò, stretta nel mio abbraccio. La morte di mia mamma, dopo una lunga malattia, il dolore più grande della mia vita. Ecco perché quegli insulti mi fecero montare il sangue alla testa, non potevo giustificarli nella loro stupididità gratuita. Perché devono tirare in ballo mia madre? Nun capisco, state vincendo e io ero sicuro di non aver fatto un gesto fuori posto, almeno non ancora.

Andai dal quarto uomo e gli dissi: ‘Tu, stamme a sentì, stamme bene a sentì, tu devi scrivere tutto sul tuo taccuino, pensa a scrivere tutto perché mo t’avviso che sto fuori de testa, occhio e scrivi tutto, se pareggiamo scrivi tutto’. Mentre parlavo con il quarto uomo, Baggio segnò il 2 a 3, non fui capace di frenarmi e rivolgendomi alla curva mi uscì una frase che era più una minaccia che una promessa: ‘…e mò se famo il 3 a 3 vengo sotto a curva…’ 

Ormai era il 92°, la partita era finita. Ma quando hai Baggio in squadra e una punizione dal limite, la partita non può mai finire così, infondo lo sapevo e mi stavo già preparando. 3-3. Non ci pensai due volte, mi trasformai in una scheggia, correvo correvo e correvo con il pugno chiuso e urlavo come un ossesso: ‘Mo arivo, mo arivo…’ Ormai non ragionavo più, mi inseguivano nel tentativo di placarmi il mio vice Menichini e l’addetto stampa Edoardo Piovani.  

Correvo pensando che ero stato insultato e ferito nei sentimenti più cari, senza nessuna ragione. Correvo fino a quando mi trovai davanti alla rete, un muro trasparente e invalicabile. Fu solo in quel momento che presi coscienza di me stesso, girai i tacchi e andai da Collina dicendo: ‘Buttame fori, me lo merito’. Posso accettare che qualcuno mi dice che sono un ‘romano de merda’, e questo ci può anche stare, me lo prendo e me lo porto a casa. Però poi hanno aggiunto che sono un ‘figlio di puttana’. E questo no, non lo posso proprio accettare, anche se sono un professionista. D’altra parte chi conosce i romani, sa bene che gli si può dire qualsiasi cosa, ma guai ad offendere la città e soprattutto la mamma. 

La mia corsa fece giustamente scalpore, i media mi trattarono come un anziano scalmanato. Ne ebbi un enorme danno di immagine e forse qualcuno dice che con quella corsa persi la chance di allenare la Nazionale, ma questa è un’altra storia… 

Alla fine sdrammatizzai dando la colpa al mio fratello gemello e dando la colpa a Roberto Baggio: “A Robbè, ma proprio oggi dovevi fa stì 3 gol…”.  

Carlo Mazzone