testo: ELIA ZUPELLI
Fotografie: GIULIA MARTINELLI
Il Consorzio Idroelettrico del Mulino di Gavardo è stato costituito nel marzo 2011 tra il Comune di Gavardo e il Consorzio di Bonifica Chiese, con l’obiettivo di produrre energia elettrica da fonti rinnovabili. Proponendosi, al contempo, di ripristinare il salto idraulico dell’antico mulino di Gavardo sul fiume Chiese, mediante l’utilizzo della travata esistente, per la realizzazione di una microcentrale idroelettrica.
“L’utilizzazione della risorsa idrica del bacino del fiume Chiese e del lago d’Idro, di cui è immissario, è da sempre stata al centro di rilevanti interessi” racconta Virginio Bertagna, direttore tecnico del Consorzio. “Quest’ultimo, per primo regolato, tra i grandi laghi italiani, fin dai primi anni del XX° secolo, è stato oggetto di contese tra gli utilizzatori agricoli storici e le emergenti iniziative di produzione di energia elettrica, di contenzioso tra gli irrigatori mantovani e bresciani, risoltosi solo nel 1955, e per ultimo, negli anni sessanta, interessato dalla realizzazione delle imponenti opere di regimazione nel bacino dell’Alto Chiese con la costruzione delle dighe di malga Bissina e Boazzo”. Il Mulino di Gavardo si trova a valle, la sua vita è durata quasi cinque secoli: il primo documento che ne testimonia la presenza risale al 1528 mentre l’attività molitoria terminò verso i primi anni Settanta del secolo scorso.
Bertagna lo osserva come se fosse la prima volta, descrivendolo con passione: “Il complesso è costituito da un edificio a pianta rettangolare leggermente arcuata che accoglieva la sala di macinazione soppalcata e due locali contigui un tempo adibiti ad abitazione del mugnaio, da un antistante porticato e da un piccolo parco adagiato sul greto del fiume…Elemento di interesse è l’articolato ed ingegnoso complesso per lo sfruttamento dell’energia idraulica: il canale di derivazione conduceva l’acqua in cinque canalizzazioni parallele separate (palmenti), formate da lastre di pietra locale legate tra loro da giunture in ferro, dalle quali l’acqua saltava sulle ruote a pale in legno, disposte a scalare, una dopo l’altra, su altrettanti piani verticali rientranti nel corpo dell’edificio. Ognuna di esse, trasmettendo attraverso l’albero il moto rotatorio, azionava cinque macinatoi posti nell’edificio. Due pesanti macine in pietra sovrapposte orizzontalmente producevano farina macinando, mediante una tramoggia, le granaglie che scendevano dal soppalco. Dopo il restauro del fabbricato è possibile osservare quel che resta dei macchinari: una macina quasi integra all’interno, mentre all’esterno, nel cortile, tacche e date segnate sul pilastro del cancello sono a testimonianza delle piene susseguitesi nel tempo, la più rovinosa delle quali nel 1966 che sommerse quasi l’intero l’immobile”.
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