Antonio De Matola: l'uomo che sussurrava alle piante

Incontro ravvicinato con Antonio De Matola, professore, ricercatore, filosofo ed esperto di botanica alla cui passione, conoscenza e dedizione si deve l’Orto Botanico di Ome: un tesoro nascosto dove tra conifere e bacche selvatiche la biodiversità diventa un sentimento

testo: ELIA ZUPELLI         fotografie: MICHELA MARCHINA

“Le radici degli alberi sono come taluni uomini: non amano essere calpestate”. L’acuta citazione nasconde un invito decisamente pragmatico: “Ti prego, viandante, utilizza la passerella”. Onde evitare di saccheggiare col peso del corpo e della sensibilità che quando manca pesa anche di più quel micromondo che si spalanca davanti appena entrati negli orti botanici di Ome, una wunderkammer color verde smeraldo che va cercata, trovata, conosciuta e capita prima d’essere profondamente amata. Fasi propedeutiche, talvolta mutevoli, durante le quali il punto di riferimento è sempre la stessa persona: Antonio De Matola – ADM come sigla in fondo ai cartelli disseminati lungo il percorso o in fondo alla citazione di cui sopra – , professore, ricercatore, esperto di botanica, conoscitore appassionato e radicale del territorio e delle manifestazioni vegetali che oggi lo caratterizzano, grazie alla sua visione da esegeta e alla sua lungimiranza senza compromessi. Impresse sottopelle e sotto corteccia a un punto di incontro tra uomo e natura dal sapore quasi catartico: un giardino di conifere (quasi duecento specie in totale, provenienti da tutti i continenti della Terra), dove le antiche storie delle piante si fondono con le antiche storie dell’umanità, dalle origini al futuro anteriore. “Un tempo essere botanico era considerato un titolo nobiliare, i botanici erano fra i pochi a potersi sedere alla tavola del re. Poi qualcosa è cambiato”. Eppure le sue idee, la sua tenacia, la sua attitudine al limite dell’utopistico sono parte integrante di questo progetto e contribuiscono in maniera fondamentale a tenerlo vivo, vivido e in costante evoluzione e miglioramento dal 1996.

Quando proprio De Matola, “per applicare la sua vendetta contro i barbari”, affiancato dalla moglie Maria e da un affiatato gruppo di sostenitori altrettanto convinti nella stessa missione, “persone che si sono messe al mio servizio per amore”, gettò il primo seme che avrebbe trasformato una discarica di inerti in un “Paradiso” (di nome e di fatto, visto che così si chiama la località su cui sorge), in quell’incredibile luogo e luogo dell’incredibile che continua a essere oggi. Così, lì, ora, in quell’angolo di terra protetta, nel cuore della piccola valle del Fus, che la preserva con senso materno e geloso, lontano dalla confusione, dal traffico, dalle sovrastrutture e dalle contaminazioni umane, gli alberi non solo hanno una presenza imponente e statuaria, ma esprimono anche una personalità dirompente. Come fa notare il loro deus ex machina, con tono pacato e serafico, attraverso la lunga barba bianca: “Vedete gli abeti, sono stronzetti e sbruffoni. Il tasso invece è l’albero della morte, ed è anche un po’ sborone. Gli alberi assomigliano agli uomini o noi siamo così presuntuosi che imitiamo i loro atteggiamenti?”.

L’interrogativo s’innesca spontaneo davanti a tanta lignea, scultorea bellezza. Talvolta incompresa, confusa: “Prendete un bresciano e mettetelo davanti a una conifera el diserà che l’è n pì”. Sottile, pungente, De Matola è però tutt’altro che misantropo. Anzi: “La maggior parte degli esseri umani, della gente, è gente bella, gli stronzetti sono solo una minoranza che fa rumore”. E sul motore di tutto, nel mondo animale come in quello vegetale, non ha dubbi: “Il sesso è la letteratura totale della vita su questo pianeta”. Chi la attenta è il vil denaro: “La logica del profitto all’interno dell’economia liberista è un crimine contro l’umanità” sostiene De Matola, che – ironia della sorte – prima di appassionarsi alle piante e alle loro radici vagava ramingo per i mari come ufficiale di marina. “Mettere il lavoro come dote principale di una vita è profondamente sbagliato. La vita stessa andrebbe presa come lavoro: il mestiere di un uomo è vivere bene. E a 74 anni suonati me ne rendo conto ancor di è più, diventare vecchi eccezionali è un obbligo, del resto anche la vita stessa è una serie di evenienze eccezionali”.

Anche quando apparentemente semplici, crepuscolari: “La sera accendo gli incensi, rifletto. La morte? Non è brutta come pensiamo e non mi fa paura, se non esistesse bisognerebbe inventarla. Herman Hesse diceva: ‘quando arriverà sorella morte la accoglierò come fosse un’amica’. Ebbene. Mi preparo con gioia e letizia e in un’altra vita di certo sarò un albero”. Le sue radici torneranno a propagarsi e il suo progetto non avrà fine: “La natura è domestica, ha un disperato bisogno dell’uomo. Se si vorrà parlare di etica del futuro, amore, conoscenza e conservazione, saranno le parole chiave: non si può amare niente senza conoscerlo…e non lo si può conservare se non lo si ama”.