Ducoli e Gaffurini: a Cromostudio danno vita alle parole in musica

Forse i selvatici sono due e, tra musica e parola, ci raccontano come le intuizioni liriche dell'uno diventano pratica nell'altro.

testo: ELIA ZUPELLI
Fotografie: GIULIA MARTINELLI, LUCA MULATTI

Ducoli e Gaffurini, benvenuti a bordo. Moltobene. Cosa combinate?

D Io e Valerio lavoriamo assieme da tempo, questo è il diciottesimo disco. Lo abbiamo rimandato per tutti i motivi, diciamo tecnico amministrativi, che hanno impegnato il Parlamento italiano in questi ultimi semestri. Alla fine non ce la facevamo più ad aspettare e, nonostante il perdurare della prigionia, l’abbiamo stampato. Però il problema è che c’era zero possibilità di promuoverlo.

E poi che è successo?

D Ci siamo trovati presi in contropiede: questo doveva essere l’album più curato, quello più da studio, meno istintivo. Pensato, stratificato. Non è che non curiamo gli album in genere, però di solito riusciamo a fare dei dischi anche in due… Devi sopportare che ho un’urgenza di scrittura abbastanza elevata, e scrivo molto, continuamente, tanta roba… I dischi mi servono per evitare di ripetere concetti già masticati. 

Il bello dell’iper produttività. Nemmeno il tempo di pubblicare il nuovo disco, “Il Cotone”, e già ce n’è un altro in arrivo…

D Mi sono immaginato la colonna sonora del libro che avevo scritto appena prima del casino della malattia: “Carne e ossa”. Sembrava amaramente profetico. Così ho iniziato a metter giù degli appunti. Alla fine chiamo Valerio e gli dico: “Voglio fare un disco”. Lui risponde. “Un altro!!!!”. Io ribadisco: “Sì! E questa volta voglio fare un disco tutto chitarra, armonica e voce. Solo con degli appoggi di pianoforte. Voglio fare un disco mio, ma non per escluderti: c’è della denuncia sociale forte, ci sono delle accuse… Insomma: voglio puntare il dito”. Valerio mi dice: “Va bene, puntiamo il dito”. E io gli dico che il dito è il medio, non è quell’altro… 

GAF Allora io gli ho risposto: “Va bene, puntiamo il dito tutti e due”.

D Sono partito dal bosco, e arrivato al Cromo gli ho suonato tutto.

Moltobene. Risultato?

D Segate tutte le chitarre. Solo pianoforti, ovunque, di ogni tipo. Mi ha lasciato solo cantare.

Almeno sono rimaste le parole.

D Quelle non muoiono mai. Per le canzoni ho immaginato questo personaggio che sceglie l’autoesilio. Ovviamente nel mio caso, un esilio domestico, ma poi viene colorato con l’invenzione lirica, l’immaginazione. Uno che si immagina di aver rubato un sommergibile e che sta navigando nell’unico luogo privo di società. Profondità, abisso degli abissi, dove incontra tutte queste creature abissali, anzi, queste creature degli abissi. Ed è un disco ambientato lì, nelle profondità, dove lui si auto analizza e alla fine, insomma, risolve il tutto.

Peraltro è tipico di un camuno usare un sommergibile, no?

D Anche in Camunia c’era il mare. Poi sono arrivati i tedeschi e hanno sfasciato tutto, come dice Jannacci nella canzone “A me mi piace il mare”.

Com’è stato lavorare assieme per l’ennesima volta? Come riuscite a sopportarvi?

D Quando io e Valerio lavoriamo insieme è comunque sempre abbastanza complicato. Detto fra noi: è oggettivamente molto complicato. È un continuo mettersi d’accordo, ma alla fine ci divertiamo.

GAF Tocca lavorare molto attentamente, con cautela diciamo. Perché Ducoli è chiaramente un personaggio. Un personaggio molto forte, molto importante. Capite cosa intendo, no? Non puoi fare un disco normale quando arriva uno così. Devi assecondarlo fino a quando non diventa un autogol. Le sue idee sono forti, anche la voce, ma sul lavoro delle canzoni preferisco mettere in ordine alcune cose. Di solito è una rissa quotidiana, ma alla fine viene fuori quello che vogliamo tutti e due.

Anche dal vivo?

D Diciamo che dal vivo in un certo senso è tutto più facile. Noi siamo gente da “live”…Ovviamente ci piace suonare dove, non solo l’amplificazione aiuta, ma anche la predisposizione del pubblico ad ascoltare in un certo modo. Ma amiamo anche situazioni da disperati dove la gente può anche non essere arrivata per ascoltare un concerto. In questi casi, in genere, viene sacrificato l’aspetto teatrale per privilegiare un approccio molto più rock, anche più punk. Anche dalla voce.

GAF Il live è il riassunto di quello che sei come artista. Se sai suonare solo in certe situazioni, vuol dire che non sei un vero suonatore.

Il senso di Ducoli per la scrittura e per il lirismo.

D Trovo siano due condizioni fondamentali, Stiamo parlando di canzoni: un buon ritornello, un buon testo. Il lirismo è quello che rende queste due cose assolute.

Quanto lirismo è rimasto in quest’epoca maledetta?

D È rimasto l’approccio lirico, che però vedo in pochissimi autori. E ritrovo invece nei grandi, quelli che io chiamo i miei grandi maestri. Penso a Nick Cave, ma anche al lirismo che può avere Franco Califano. Cioè quando lui racconta una canzone, racconta una storia all’interno di una canzone, con una progressione lirica sua, che rende quella canzone totale. Quindi non serve solo citare Nick Cave, ma anche Franco Califano. O Piero Ciampi ad esempio. Quello è il lirismo. Quando il personaggio racconta la canzone come se fosse una scena di vita. Ovviamente l’audacia sta nel riuscire a combinare la musica con delle parole forti e fare in modo che chiunque, ascoltata la canzone, possa riconoscersi nel protagonista.

Gentilmente, qualche altro esempio sul tema?

D Faust’o, gente che ti vomita in faccia. Ivan Cattaneo, i suoi dischi degli anni ’70 erano mostruosamente lirici.

E adesso come ce la passiamo? Moltobene o moltomale?

D La seconda. Trovo stimolante niente o quasi nulla. E ciò è disarmante. Dopotutto il concetto è molto semplice: quello che vedo oggi è sostanzialmente gente che fa una vita, a mio avviso noiosa. Mancano cicatrici. Manca la violenza, manca la merda, manca qualsiasi cosa. Trovo veramente tutto abbastanza orpellato.

GAF Siamo al decadentismo totale, nel senso che ormai tutto sembra posticcio. Anche l’uso dell’elettronica sembra diventato posticcio. Non esiste più quasi nulla di suonato veramente. Sì, è suonato, ma non nel senso del “suonare”…. Sembra più una presa per il culo.

Di chi è la colpa?

D Grandi responsabilità ce l’hanno i producer, che si sono sostituiti agli artisti. Voglio dire: se tu prendi un ragazzo che magari ha anche una storia da raccontare, una storia interessante, di noia giovanile, potrebbe essere che vien fuori uno incazzato che scrive delle bombe. Il problema, invece, è che i producer tendono ad anestetizzare questo aspetto. Poi ciò che manca in questi ragazzi è la cultura musicale. Una volta non potevi suonare senza aver ben impressa la lezione di certi grandi. Oggi puoi farlo fottendotene anche di “Break on trough”.

A proposito. Fuori un paio di nomi imprescindibili.

D Per rimanere nel seminato. Oggi va di moda il trap e tutta la roba figlia del rap, ma Public Enemy, Run DMC e Beastie Boys non li conosce quasi nessuno. Con quelli, anche se non ti piaceva il genere (beh…i Beastie Boys facevano impazzire anche a me che preferivo il folk), si capiva già che c’era veramente una forza, una violenza artistica.

Invece oggi trasgredire è fuori moda?

D Quell’altro là che si è autobattezzato a Sanremo…non c’è più sperimentazione, ma che trasgressione è? Se voleva trasgredire poteva bruciare una mascherina sul palco… Che poi magari Achille Lauro in un’osteria, una sera, si mette al pianoforte e ci suona tutta la discografia di Bindi. Io vorrei, da lui, proprio quello.

Ha senso prendersela con il mercato? Ammesso ancora ne esista uno.

D Le case discografiche non sono più così potenti. Il problema è che mancano le canzoni. E tutto si è ridotto a macelleria: i ragazzi vengono usati e poi buttati via come se fossero dei quarti di bue.

Ai giovani musicisti quindi che consiglio date?

D Non lo so. Perché è veramente brutto dare un consiglio, perché in questa fase purtroppo è così. Ogni generazione deve alzare la testa per conto suo. Adesso le teste sono tutte abbassate e questo secondo me va male.

E ai vostri colleghi?

GAF Noi abbiamo partecipato a un primo maggio lo scorso anno, proprio nel periodo Covid. Tutti suonavano, si fa per dire, “dal vivo”, ma on-line. Noi ci siamo rifiutati: “Piuttosto mettete il video” abbiamo risposto. Noi non lo facciamo. Ci rifiutiamo di suonare dal vivo in quelle condizioni. La musica on line sembrava già essere stata eletta a spettacolo del futuro… Mi fa venire l’orticaria. È peggio della sabbia nelle mutande.

Ducoli, il suo è un approccio politico?

D Direi di sì, ma non nel senso del partito. Intendo la musica come elemento dialettico, calato nel corpo sociale.

Si ritiene un artista libero?

D Qualche tempo fa, proprio in risposta alla crescente esigenza di fare spettacoli on-line, ho lanciato la campagna: ”Più screening meno streaming”. Hanno cominciato a insultarmi, tutti. Ma è così, oggi chiunque ha un’idea migliore della tua. Credo che essere liberi, significhi fottersene anche di loro.