"VITTORIA LA TERRIBILE", melomane da enciclopedia

Testo: Elia Zupelli
Art: Giordano Bonera

Da un’intervista-amarcord del 4 novembre 1973, lo slancio per una storia che continua nel presente. Vittoria Todeschini, l’ultima delle melomani bresciane, classe infinita e grazia ballerina, ancora oggi passeggia nei paraggi di piazzale Arnaldo dove non disdegna un calice di Lugana seguito da una sigarettina raminga. Residente in centro ma cittadina del mondo, al cospetto dell’austero, persino temibile soprannome, incontrarla è sempre un toccasana per l’anima: “Una volta feci a botte con uno che aveva gridato ‘cane’ a un celebre tenore…La claque è immorale. A teatro non si fischia, al massimo non si applaude”.

“La claque è immorale. A teatro non si fischia; al massimo non si applaude. Una volta feci a botte con uno che aveva gridato ‘cane’ a un celebre tenore. Non si può dire così a uno che è stato grande cantante. E non si fischia una stecca come fanno invece nei teatri emiliani. La stecca è uno sbaglio, e tutto può succedere. Ma come non si fischia così non si deve applaudire troppo facilmente”. Semmai, meglio brindare. Con Maria Callas, Placido Domingo o Magda Oliviero, come in circostanze diverse le capitò in passato. Oppure molto più semplicemente con un bel Luganino fresco, immancabile, Marlboro a corredo e 83 anni portati in gran scioltezza, disinvolta e charmant come quel 4 novembre del 1973, quando il Radiocorriere le riservò un’intervista di alcune pagine a firma di Giancarlo Santalmassi, riportate oggi dall’Enciclopedia Bresciana. Dove la signora Vittoria – melomane come non ne esistono più, personaggio popolarissimo nell’ambito della lirica ma anche nel più movimentato circuito dei bar che orbitano attorno a piazzale Arnaldo, con una predilezione per Viselli, dove tra un amarcord e l’altro non disdegna mai quattro chiacchiere ed estemporanei gesti d’affetto – si è guadagnata di diritto un posto d’onore in prima fila. Proprio come a teatro. “Ma non tradisca la data annotata – avverte infatti la stessa Enciclopedia -, in quanto la ‘Vittoria’ non ha perso la sua verve e, sempre fedelissima al Grande, ancor oggi esprime la sua passione con inalterata efficacia e capacità critica. Di seguito riportiamo alcune tra le più interessanti considerazioni apparse sulla pubblicazione citata”. Val la pena lasciarsi inebriare dal brillante interloquio, tuffandosi in quel folle novembre 1973: “…Sì che la claque al Grande non fa più paura a nessuno. Chi fa veramente paura, adesso, è Vittoria. ‘Vittoria, e poi?’” la incalza Santalmassi. “Vittoria e basta” risponde prontamente lei, fotografata nel frangente con eminenti personaggi pubblici e della lirica italiana del tempo quali il tenore Carlo Bergonzi e il baritono Anselmo Colzani. “Perché la chiamano la Terribile?”. “Perché vado all’opera”. Una risposta che sintetizza tutto lo ‘sprezzo’ per la cultura lirica fatta esclusivamente sui testi o sulle collezioni discografiche. Quello che conta è andare e sentire dal vivo”. Professione infermiera, Vittoria iniziò a frequentare l’opera fin da quando aveva cinque anni. A diciassette, panino nella borsa, andava in bicicletta da Brescia a Verona con in tasca le 500 lire giuste giuste che costava il posto in gradinata all’Arena.

 

Sempre Santalmassi nel reperto d’annata approfondisce: “Per i cantanti nessuna riverenza, proprio come quando all’Albergo Vittoria era chiamata in fretta per fare iniezioni o per tirare su la voce o mandare giù la paura. Porta con sé centinaia di foto che la ritraggono con i ‘grandi’ della lirica a tavola o all’uscita del teatro o al momento del brindisi. Ma non si è mai fatta offrire una cena o pagare un biglietto. Lei, gli inseparabili Giulia e Giuseppe Gandini e altri pochi fanno la fila dalle dieci di sera alle dieci del mattino per prendere il biglietto, scambiano con amici all’estero notizie e registrazioni. Il sindaco stesso le cede spesso il suo palco, quello riservato al Comune, perché faccia entrare chi desidera. E Vittoria porta le vecchiette, quelle che non si possono permettere un biglietto per il loggione, peraltro irraggiungibile per via dei 150 gradini che lo separano dall’atrio”.

Sempre dall’intervista di Santalmassi: “Dicono che anche lei diriga una sua claque personale…”. Todeschini alza sulla fronte gli occhiali che fanno apparire il viso ancor più magro ed affilato e sbotta una seconda volta: “La claque è immorale!”.

Alla Scala Vittoria e i suoi zittirono clamorosamente una claque smaccatamente a favore di Katia Ricciarelli. “Ma a poco a poco i cantanti hanno compreso che non bisogna aver paura della Vittoria e di quelli come lei. La gente che va all’opera finisce con l’essere l’autentica forza della lirica. Finisce così che il tarlo prende anche gli altri, il contagio si diffonde. Vittoria ha contaminato don Federico, per esempio, un prete di Lumezzane, un paese della provincia. La zona è tipicamente occupata a lavoro domiciliare. Nelle case si montano rubinetti, si lucidano posate. E dove attecchisce il lavoro a domicilio gli economisti dicono che la situazione non è florida. Con tutto ciò, don Federico e i suoi parrocchiani appassionati di lirica vanno spesso al Grande di Brescia o altrove, organizzati in carovane con tanto di pullman. È stato così che in una zona apparentemente negata alla lirica, come ammette Piergiuseppe Beretta, perché Brescia e il Bresciano sono tesi a fabbricar soldi, l’OM, la Fiat, la Radaelli, la Rinascente, le acciaierie, le fabbriche di servosterzi e pentoleria hanno incrementato le facilitazioni aziendali per i dipendenti appassionati di lirica”. Sono passati oltre cinquant’anni da quando sul Radiocorriere gocciolavano queste colonne: altri tempi, un altro mondo…eppure “Vittoria la terribile” è ancora qui e continuerà ad esserlo nelle stagioni a venire, come tutte le mirabolanti figure che appartengono all’eternità.