Preferire l’attesa

Testo: Beatrice Trainini
Foto: Irene Chioetto, Davide Sartori
Layout: Giuseppe Noschese

Un dialogo con Giancarlo Busato, titolare della Stamperia d’Arte Busato, maestro stampatore di litografie e calcografie su pietra.

Odore di resina ed inchiostro, pareti che svaniscono nei fogli appesi in un’interferenza di bozze, appunti e definitivi. Colori che asciugano e colori ormai secchi, il cinguettare di alcuni uccellini tra i glicini in giardino. Tra spatole, matite, pietre, lastre e tanta luce si intravede qualcuno che dal 1996 lavora qui dentro con l’anima. Perché sì, “si può vivere d’arte.”


È questo il racconto che emerge dal luogo che stiamo visitando e da Giancarlo Busato, attuale tassello dello scambio generazionale che dal 1946, con il nonno Ottorino, occupa il palazzo cinquecentesco dove vive la Stamperia d’Arte Busato. Uno spazio onirico che sembra esistere un po’ fuori dal tempo. Una bolla di vernice di rigoroso silenzio, rotto soltanto dalla natura che avvolge questa macchina e che sembra sul punto di sopraffarla come in un dipinto di Friedrich.

La Stamperia Busato resiste ad un vento forte, che cerca di spezzare i fili tracciati dalla tradizione alla ricerca del progresso. E vive in un tempo in cui la figura dell’artista è sbiadita, esaurendo in una serie di compromessi necessari al nuovo modo di vivere l’arte, in un mondo che non ha spazio per il sentimento romantico della generazione di artisti che hanno illuminato l’opera dei maestri stampatori.

Perché d’altronde, come ci fa notare Giancarlo, non riusciamo più ad aspettare niente, viviamo con irriverenza il principio dell’attesa. Manca il rispetto della pazienza. Non ci permettiamo più di attendere un risultato, lo pretendiamo. Lo combiniamo. Lo rendiamo umile aspettando di riuscire a sopportarlo.

Allo stesso modo non siamo neanche più capaci di sostenere un risultato che pecca dell’errore: lo sbaglio ci spaventa, preferiamo disfarcene. Dovremmo invece osservarlo, osannarlo, renderlo un punto di partenza. Giancarlo accogliendoci come accademia LABA, ci ha fatto una richiesta. Quella di dimenticare questa necessità fino all’osso, ci ha chiesto di badare al significato dell’arte perché possa ancora esistere qualcosa su cui riflettere. Sporcandosi le mani, sperimentando e vivendo i risultati con la voglia di provarci ancora, fino a che avremo qualcosa da raccontare.