testo: VALERIANO IOSCA
Fotografie: C-JAY LIAY, MASSIMILIANO DALFOVO, VITO PETRACCONE
Segni particolari: cercatore di reperti. Bellici e militari ma anche tesori perduti, cimeli di altre epoche, oggetti misteriosi, anticaglie di ogni tipo…Scalatore, atleta, rifugista, guida storica, scrittore e “Metal Detective”, come la serie cult che conduce su DMAX, Paolo Campanardi detto “Gibba” è un’anima curiosa e luminescente, affascinata dall’ignoto e dalle storie sfuggenti. Trentanove anni, originario di Toscolano Maderno, comune affacciato sulla sponda occidentale del lago di Garda, lontano dai riflettori catodici gestisce un rifugio in alta montagna ed è inoltre presidente dell’Associazione Gruppo Ricerca, ente che opera per la salvaguardia del patrimonio legato alla Prima Guerra Mondiale.
La sua è una vera e propria missione, con il fedele e inseparabile metal detector a indicare la rotta come una bussola: “Ho percorso migliaia di chilometri su e giù per i canaloni, lungo le trincee… Ho scelto di dedicare la mia vita per far vivere quelle memorie”.
G: “Siamo in località Passo Nota, a 1208 mt sul livello del mare. Ci troviamo a pochi metri dall’attuale confine tra Lombardia e Trentino che durante la prima guerra mondiale divideva l’Italia dall’Austria. Partiremo dal rifugio del gruppo alpini che allora era la caserma italiana della Guardia di Finanza, da qui percorreremo la Strada militare del Passo Tremalzo per proseguire lungo il camminamento che attraversa tutta la cresta di Prima Linea. “
V: Gibba traccia il programma della giornata. Ci rassicura rispetto alla difficoltà del percorso garantendoci di poterci fermare ogni qual volta lo riterremo necessario. Variamente allenati ma fiduciosi, partiamo.
La strada di sassi, sotto le scarpe di 10 persone produce un suono forte che diventa fragoroso nel silenzio della montagna. Quando il percorso si apre a mostrarci la valle e lo sviluppo tortuoso sulla sponda della montagna, ci fermiamo per una panoramica sul contesto storico e su quel che ci circonda.
G: “Quando scoppia la guerra gli austriaci abbandonano tutta la valle di Ledro, salgono sulle montagne e le fortificano. È fondamentale fortificare le montagne, in guerra vince sempre chi sta più in alto. Gli italiani infatti, con l’ingresso in guerra nel 1915, faranno la stessa cosa.
Su queste creste erano disposti i cannoni italiani che puntavano la Val di Ledro. Viceversa dalle montagne della Val di Ledro, i cannoni austriaci puntavano sugli italiani.
Immaginate che durante la prima guerra mondiale qui non ci fosse nemmeno una pianta. Gli alberi servivano per scaldarsi, per fare da mangiare ma soprattutto per costruire. Baracche, ricoveri, gallerie, trincee.
Qui davanti c’era il grosso della truppa, gli attendamenti, i baraccamenti. Oltre 7000 soldati hanno vissuto in questa valle 365 giorni l’anno per tre anni.
Su questo fronte c’è stata prevalentemente guerra di posizione e in inverno non si combatteva, si cercava di sopravvivere. Pensate che gli inverni della prima guerra mondiale sono stati gli inverni con le temperature più rigide e la maggiore quantità di neve di tutto il secolo scorso.
Pensate alla fatica che è stata fatta da questi soldati, da questi giovani, per costruire quello che poi è rimasto. La strada che stiamo facendo che tra un mese sarà piena di turisti, famiglie e ciclisti, è stata costruita a mano da quei ragazzi, prevalentemente con piccone, badile e carriola, così come le gallerie aperte nella roccia sotto le quali stiamo passando. I minatori avevano il lavoro più difficile, il più duro. Alla fine della guerra, ragazzi di 20 anni, sembrava ne avessero 60. A noi sono rimasti i comodi percorsi che poi usiamo per raggiungere le cime, guardare il panorama, dire che la montagna è bella e sentirci in pace con il mondo.
Dovremmo sempre ricordarci che oggi la vetta di una montagna la possiamo raggiungere perché probabilmente qualcuno ci ha sputato sangue e sudore.”
V: Con la capacità visiva di un bravo regista Gibba riesce a cambiare la nostra percezione di ciò che ci circonda; così ogni traccia sulla roccia ci racconta qualcosa, ogni pietra sottratta alla montagna, ogni albero, tutto acquisisce un peso diverso. Turbati e silenziosi riprendiamo a camminare che tanto intorno ci sono solo alberi, pietre e segni sulle rocce, tutto sangue e sudore.
Per alleggerire i nostri pensieri Gibba prosegue:
G: “In settori come questi c’erano anche baracche di vita e teatri, c’erano baracche adibite a fare musica. Oltre a combattere qui si viveva, si rideva, si scherzava, si beveva, si giocava, si costruiva, si piangeva. La guerra è stata anche una comunità di persone. Immaginate 7000 persone, come se fosse un paese intero di giovani uomini provenienti da tutta Italia. Ognuno di questi soldati si porta la propria vita al fronte: lingua, cultura, professione. Spesso era difficile comprendersi. Però si sviluppano rapporti, si costruiscono relazioni profonde che poi molti mantengono anche dopo la fine della guerra.
Non esistono più queste persone. non esistono più fisicamente ma nemmeno dal punto di vista della forza e della tenacia. Gli uomini della prima guerra mondiale non esistono più. A quei tempi da qualsiasi parte d’Italia provenissi, per poter vivere, le mani bisognava saperle usare bene. Se non c’era una cosa se la costruivano, se si rompeva la aggiustavano e qui dove fortunatamente si è combattuto poco, i soldati hanno potuto costruire o riparare oggetti che servivano per sopravvivere e talvolta per passare il tempo. Si chiama trench art, arte da trincea: tazze, fibbie, bracciali e anelli, bossoli intarsiati e dipinti. Pezzi unici. Di tazze fatte con la scatola di cibo ne abbiamo trovate decine, ma ognuna è diversa. Quindi, a differenza di un elmetto, quella diventa unica al mondo. Da qui capiamo la manualità che avevano questi soldati, ma anche le sfide di sopravvivenza, di adattamento e la difficoltà che c’era nel vivere tutti i giorni. “
V: Gibba, come è nato tutto?
G: “La maggior parte delle cose nascono dalla curiosità, dalla voglia di vivere delle avventure. Poi, se si coltivano in un certo modo, si trasformano da avventure a hobby, da hobby a passioni e in alcuni casi le passioni costruiscono un vero e proprio stile di vita. Questo ti invoglia a studiare, approfondire, capire. “
V: Viene prima l’amore per la montagna e l’avventura o l’amore per la storia?
G: “Viene prima l’amore per la vita. Volevo capire e scegliere cosa fare nella mia vita. L’ho scelto grazie alla montagna, grazie alla storia, la guerra, l’avventura, la natura.
Io nasco come scout. Ho passato quindici anni in braghe corte più spesso sulle montagne che a casa mia. Una passione seria. Se non fai le cose per passione, prima o poi ti stufi. Questo vale per tutte le cose. La passione alimenta la voglia di fare quello che faccio, un obiettivo dietro l’altro, sempre avanti. “
V: Sempre avanti ragass! Uno stile di vita che hai trasformato in un motto amato in tutta Italia.
Sorride Gibba o almeno credo perché mi accorgo di essere rimasto indietro e forse di aver parlato con un po’ di affanno nella voce. Gibba si ferma e ci aspetta, il gruppo si ricompone. Recupero il fiato e chiedo ancora: Tutto quello che sai, la capacità speciale di trasmettere queste storie facendo “parlare” gli oggetti, da dove arriva? È una tua esigenza, una volontà? È frutto di studi?
G: “Ho imparato che se vuoi raccontare bene una cosa, la devi vivere, esperire. In montagna oggi saremmo venuti anche con il temporale, sarebbe stato molto più difficile, ma è nel brutto tempo che si vive la guerra. È nel brutto tempo dove si fatica ma anche dove ci si lava. È nel brutto tempo dove si combatte perché quando c’erano i temporali e il fronte si copriva da nubi, quello era il momento buono per sferrare un attacco o per restare pronti a respingerlo. Questa esperienza ci fa vedere le cose da una prospettiva diversa. La somma di tutte queste esperienze va poi unita allo studio. Vivere, fare esperienza e studiare per sapere. Sapere è la chiave per capire.
A Toscolano abbiamo un museo che raccoglie buona parte dei reperti recuperati da noi qui sulle montagne dell’Alto Garda e all’interno abbiamo una biblioteca con 300 pubblicazioni sulla prima guerra mondiale che trattano un ventaglio di 200 argomenti diversi. Questo diventa strumento di lavoro. Se io oggi trovo e so riconoscere una scatoletta di cibo è perché qualcuno con la passione per le scatolette di cibo della prima guerra mondiale, ha radunato in tre volumi 1500 esemplari di scatolette, le ha studiate, fotografate catalogate e le ha messe insieme creando uno strumento di conoscenza e condividendo competenze specifiche.”
V: Hai detto “noi” a chi fai riferimento?
G: “Parlo dei ragazzi con i quali nel 2015 ho aperto l’associazione che oggi si chiama MU.RE. Museo Recuperanti 1915–1918 alto Garda bresciano, che collabora con le istituzioni a mantenere vivo questo piccolo settore di fronte. La manutenzione è principalmente legata al lavoro dei volontari che spesso attingono alle proprie personali risorse. Si tratta di solo dieci chilometri ma vi assicuro che ce n’è da fare per quattro vite. Siamo infatti sempre alla ricerca di volontari e persone che vengano a darci una mano perché è importante capire, valorizzare e ricordare cosa c’è stato qui.”
V: Quando arriviamo in cresta, lo sguardo si apre sul panorama del Lago di Garda da una parte e su quello di Ledro dall’altra. Siamo seduti su quella che fu la base per un cannone da 149 mm e nonostante la bellezza del paesaggio, non ci sentiamo molto in pace con il mondo. Tra poco scenderemo lungo il camminamento della prima linea fino al rifugio da cui siamo partiti, il ritorno sarà per lo più silenzioso, per qualcuno difficile, verranno anche versate alcune lacrime ma alla fine, arrivati al rifugio, tutto si scioglierà davanti a qualche battuta e alla fortuna di poter scegliere e mangiare del buon cibo.
Dopo pranzo Gibba decide di dedicarci ancora del tempo per accompagnarci a Toscolano al MU.RE. Ecco, vi consigliamo di andarci. Se non avete avuto la fortuna di fare la nostra stessa esperienza in compagnia di Gibba, qui potrete davvero rivivere, attraverso i reperti, le sensazioni della guerra: “tutto quello che qui vedete, toccate e sentite, ha fatto realmente la prima guerra mondiale”, e non è per nulla un modo di dire! Abbiamo annusato l’odore della miccia (che ha fatto cilecca come spesso accadeva anche allora), ascoltato il rumore dei liquori e dell’acqua nelle bottiglie e nelle borracce rinvenute ancora chiuse e intatte dopo 113 anni, abbiamo visto i volti dei soldati, toccato le loro ferite sugli abiti e gli elmetti bucati. Per noi è tutto nuovo, è tutto potente ed evocativo. Siamo però sorpresi da come Gibba, dopo tanti anni di lavoro e centinaia di passaggi su ogni singolo reperto, guardi ancora le fotografie dei soldati con uno sguardo pieno di cura come a cercare indizi per potergli dare un nome e poi ringraziarli. Uno per uno.
Oggi però siamo noi a ringraziare te, Grazie Gibba.
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