testo: ELIA ZUPELLI
Fotografie: ELISA PASOTTI – JAUPI XHENIFER – SIMONE BUCCINÀ
La banda Castelli suona il rock! Neorealisti in scarpe antinfortunistiche, sognano di conquistare il mondo “suonando” laser rotanti, treppiedi, carotatrici, demolitori e smerigliatrici…“Trovare dei giovani oggi è diventato impossibile. In compenso tutto il settore edile ha esteso i propri orizzonti, inglobando altre culture, nell’ottica di una collaborazione funzionale e inclusiva”. Carpenteria e sottofondi: rumeni e kosovari eccellono. Ferro: indiani e pakistani. Intonaci e cartongesso: egiziani. Niente più mortadella, Campari, Branca Menta e pacchetti di MS: la schisèta in cantiere è diventata “straight”, oltre che multietnica. E dalla curva si alza un coro unanime: “La malta è come la polenta!”.
Giornata tipo: sveglia alle sei, colazione robusta. Partenza a un quarto alle sette. Sette e mezza sul cantiere. Tirata fino a dodici e mezza. Rapida pausa pranzo. Quindi di nuovo operativi sul cantiere e altra sessione filata fino alle cinque. Pullmino, rientro alla base. Cena altrettanto robusta e a letto presto che domani sarà un altro giorno. Fedeli alla linea di questi bioritmi da prima linea, durante la golden age ancora più estremi ed esasperati, i muratori bresciani e bergamaschi negli anni Sessanta e Settanta hanno praticamente costruito Milano. Poi la musica è cambiata: “Trovare dei giovani oggi è diventato pressoché impossibile. In compenso tutto il settore edile ha sempre di più esteso i propri orizzonti, inglobando altri mondi e altre culture, nell’ottica di una collaborazione funzionale ma al tempo stesso inclusiva”. Ecco allora di necessità virtù ridisegnarsi una nuova mappa geografica-etnografica delle competenze specifiche, nella quale l’esperienza e il mestiere dei professionisti autoctoni – veri e propri e cultori della materia – ha alimentato nuovi flussi di energie e per riflesso nuovi sbocchi lavorativi proiettati verso il mondo: “Carpenteria: rumeni e kosovari eccellono. Lavorazione del ferro: indiani e pakistani. Intonaci e cartongesso: egiziani. Sottofondi: rumeni e kosovari”.
A sottolinearlo dal cuore dell’imponente cantiere allestito in piazza del Foro a Brescia (un intervento di recupero a fini abitativi all’interno di un ex oratorio femminile) è Andrea Castelli, titolare assieme al figlio Davide dell’omonima ditta di Costruzioni, le cui parole d’ordine sono “professionalità, affidabilità, esperienza, legalità, tecnologia”. In una frase: “Costruiamo con la qualità dell’esperienza dal 1962”. Payoff che rimarca il valore centrale della storicità e del radicamento sul territorio, ma al tempo stesso la capacità di evolvere e ripensarsi pur senza mai perdere la propria identità o tradire il proprio ethos. Facendone anzi un autentico punto di forza. Assieme a un’altra prerogativa distintiva che ne amplifica l’elevata specializzazione nei settori edile: la centralità del fattore umano. Tanto nella relazione con i clienti, quanto nell’empatia sul luogo di lavoro. Dove tutto cresce e prende forma. Vitale e paradigmatica è stata in questo senso la seconda tappa del nostro ramingo vagare lungo le rocambolesche rotte di una “fenomenologia del müradùr” che mai quanto in questo ammaliante anno di nostro signore 2023, nei giorni di Brescia-Bergamo Capitale Italiana della Cultura, appare così impellente approfondire ed esplorare. Senza pregiudizi, senza preconcetti. Predisposti invece ad ascoltare il flusso armonico prodotto da un’orchestra di uomini che quotidianamente salgono sul palco per un concerto in cui “suonano” movimentatori telescopici, escavatori e autocarri, laser rotanti, treppiedi, carotatrici, demolitori e smerigliatrici di diversa forgia e diverso diametro, e al tempo stesso raccontano se stessi come in una pièce teatrale estemporanea e senza copione. Dai tratti neorealisti e tremendamente sinceri. La scenografia è dunque in sintonia con l’atmosfera e la narrazione: minimale e conviviale. Così, poco dopo mezzogiorno, mentre nel cantiere il trafelare comincia ad affievolirsi, i muratori traslocano in un piccolo angolo dello stabile temporaneamente adibito a sala da pranzo dai toni frugali. Postmoderni e minimali.
Spuntano allora un frigo portatile tipo quelli da campeggio, una stufetta d’assalto, persino un forno a microonde molto 80’s. Il coro si fa unanime tipo un ‘bon appétit’ meno fighetto e al retrogusto vernacolare : “La malta è come la polenta!”. La tavola intanto si popola di schiscette assortite: pane e pasta traboccano, italianissima usanza del primo piatto sostanzioso che s’incontra e si fonde con i sapori, i profumi e le spezie dei müradùr di origine straniera, disegnando un melting pot oltre tutti i muri e tutti i confini. Il termos del caffè – bollente e bello carico – funge da calumè anti pennica pomeridiana. Licenza poetica concessa solo in vacanza, solitamente ad agosto. Composta da sei-sette elementi al momento del nostro incontro ravvicinato, la banda Castelli suona il rock: “L’abitudine di pranzare insieme in questo modo è nata giocoforza durante i giorni bui, quando non si poteva andare in trattoria, e da allora non abbiamo più smesso. Ne guadagniamo anche in tempo, portafoglio e forma fisica, visto che qua difficilmente si fa antipasto-primo-secondo. Tra di noi c’è grande sintonia, grande affiatamento…è solo con i capi che non andiamo d’accordo”, strizzano l’occhio con sincronizzazione telepatica. Bluffando: “Qui remiamo tutti nella stessa direzione, da anni condividiamo molto più di un mestiere, ma un vero e proprio stile di vita, che va ben oltre la carpenteria. Manovale, muratore, capo squadra: i ruoli servono per organizzare il lavoro e dargli un metodo, ma per il resto sul cantiere siamo tutti uguali”. Bresciani e bergamaschi compresi: “Non c’è dubbio che la nostra professione abbia negli anni trovato in questi territori la sua massima espressione”, conferma Castelli. “Senza dubbio è una questione di abilità ed esperienza, ma credo alla base ci sia anche un dna che in qualche modo caratterizza la nostra indole di gente tosta, propensa a fare andare le mani piuttosto che a perdersi in chiacchiere e vaneggiamenti. Certo oggi questa regola non vale sempre, anche perché il lavoro prettamente manuale si è molto ridotto, grazie agli incredibili progressi della tecnologia”. Per riflesso è così cambiata anche la figura del muratore, quantomeno rispetto a quella stereotipata nell’immaginario popolare (colazione del campione con pane mortadella e Campari, due pacchetti di MS al giorno e un me ne frego dentro al cuor). Il futuro è già qui, Castelli risponde presente: “Ogni società, compresa la nostra, si avvale di squadre e fornitori specializzati; ogni operaio deve frequentare corsi di sicurezza, di primo soccorso, per la costruzione delle impalcature…sostenibilità, integrazione orizzontale della filiera del costruire, creazione di valore aggiunto alle realizzazioni e al cliente sono diventati gli asset della nostra vision d’impresa. Vedete, ci concediamo persino il lusso di parlare in inglese”.
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