Testo: ELIA ZUPELLI
Fotografie: MARINA BOLOGNINI – ELISA PASOTTI – VITO PETRACCONE – DENISE SCALA – GIOVANNI VENTURINI
Impaginazione: DANIELE SPORTELLI
Le sue gesta furono affrescate dal Romanino nella torre campanaria della Chiesa di San Salvatore: valoroso condottiero sopravvissuto alla sanguinosa battaglia della Malamorte, dedicò anima e corpo alla vocazione a seguito di una visione infernale proprio durante il cruento scontro coi bergamaschi lungo l’Oglio. Per lungo tempo dimenticata, la sua storia riemergerà dall’oblio nel 1498, quando le sue spoglie mortali iniziarono a trasudare acqua miracolosa.
Rieccoli i prodi avventurieri del tempo e della memoria! Com’è ormai consuetudine, nel mezzo del cammin di questo movimentato Moltobene numero 5 dedicato a scontri epici e botte da orbi, tornano a manifestarsi in realtà in modo tutt’altro che brutale anzi con grazia d’altri tempi gli affezionatissimi Roberto Capo, attore e autore insieme a Enrico Fappani della fortunata web serie “Ch’èl chi chè lè”, e Lara Contavalli, guida turistica non convenzionale e anima di Oltre il Tondino, progetto mosso “dalla curiosità di guardare le cose spostando lo sguardo da un diverso punto di vista, dal desiderio di comprenderle in profondità, dallo stupore di ri-scoprirle nel quotidiano”.
Dunque senza girarci troppo attorno, irrompono con vibrante teatralità: “Fra le due città, che oggi insieme sono Capitale Italiana della Cultura, non corre assolutamente buon sangue. Anzi. Diremmo assolutamente che il sangue scorre, wma non quello buono, bensì quello degli infiniti e numerosi morti registrati durante le innumerevoli battaglie tra bresciani e bergamaschi… Sfide sanguinose, disputate lungo i territori del ‘fiume fantastico’, l’Oglio”.
Dall’aperta campagna al cuore della città, l’incontro davanti a Santa Giulia è però tutt’altro che casuale: “Proprio qui, in quello che oggi è il complesso sede dei Musei Civici e patrimonio dell’Unesco, troviamo infatti una testimonianze preziosissima di quelle incredibili battaglie”, osservano Capo e Contavalli.
“Stiamo parlando degli affreschi della torre campanaria all’interno della chiesa di San Salvatore, dipinti dal grande pittore del Rinascimento bresciano, Romanino, che nel 1526, sovvenzionato da una badessa della famiglia Martinengo, a far realizzare quell’incredibile opera”. Al centro e protagonista della magniloquente narrazione, un certo Obizio da Niardo, un giovane proveniente dalla Val Camonica (da Niardo per l’appunto, come suggerisce il nome).
La storia: “Nato intorno al 1150, sull’esempio del padre, che lo forgerà fin da bambino, Obizio decise di intraprendere la carriera di ‘miles’, termine allora in uso per designare il gentiluomo dedito, per professione, al maneggio delle armi a cavallo. Favorito dalla sua forza, agilità e intelligenza, diventò ben presto un ottimo guerriero.
Una brillante carriera militare sembrava attenderlo. Fino a quando il padre lo trascinò nel vortice di quella che per il futuro Santo fu invece l’ultima battaglia…”. 7 luglio 1191, fiume Oglio, battaglia di Rudiano, detta altresì “della Malamorte”, per quanto fu cruenta e sanguinaria. Altre memorie dalla notte dei tempi, perdute e riesumate attraverso le parole dell’affiatata coppia di narratori bresciani: “Obizio, a capo del suo esercito, era impegnato a respingere l’attacco dei bergamaschi. Questi ultimi, ormai in ritirata, si accalcarono su di un ponte costruito con materiale ligneo di fortuna. Messa a dura prova dalle violente sollecitazioni e dal ben grave peso dei cavalieri in armatura e dai loro destrieri, la fragile struttura non resse l’urto e crollò. Uomini e cavalli precipitarono nelle gelide acque sottostanti.
Fra loro c’era anche Obizio. Sul fiume intanto già galleggiavano corpi senza vita, feriti alla disperata ricerca di soccorso, macerie di ogni genere… In questo scenario apocalittico, Obizio rischiava di affogare, appesantito dall’armatura e ostacolato nei movimenti dallo scenario di morte circostante. Ormai allo stremo delle forze, venne soccorso da un conoscente che lo trasse in salvo sulla riva. Esausto, cadde a terra, privo di conoscenza”. Fu in quel momento che venne rapito in estasi, vivendo l’esperienza che gli cambierà per sempre la vita: Ebbe una visione infernale, una visione cupa, minacciosa, densa d’odio lacerante, d’angoscia profonda, di disperazione senza fine. Così vivida, precisa, reale che lo scosse profondamente, al punto da decidere proprio in quegli attimi concitati dare l’addio alle armi e di dedicare la sua vita totalmente a Dio.
Nel 1197, ottenuti finalmente i consensi necessari, fu come oblato nel monastero di Santa Giulia a Brescia. Sant’Obizio trascorrerà gli ultimi anni della sua vita in questo luogo, dedicandosi completamente a Dio e ai più bisognosi e compiendo una lunga serie di miracoli; morirà il 6 dicembre 1204, dopo aver dato l’ultimo saluto ai suoi familiari. Le esequie, celebrate proprio nella chiesa del monastero di Santa Giulia, si svolsero con gran solennità e con tutto l’onore riservato ai Santi. Pressoché dimenticata, la sua storia riemergerà dall’oblio nel 1498, quando le sue spoglie mortali iniziarono a trasudare acqua miracolosa”.
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