testo: Elia Zupelli
Fotografie: JAUPI XHENIFER — LIAY C-JAY — PETRACCONE VITO — DAVIDE SARTORI
Su per le strade di Vallio Terme è ritornata al futuro una particolarissima variante del gioco delle bocce, le cui origini si perdono nella notte dei tempi…Si duella con lanci millimetrici su strade impervie e sterrate, non prima di un adeguato riscaldamento muscolare con vino novello, uova sode, salame nostrano e una “cantadina” tonificante. Già, perché Vallio è anche il paese dei canti d’osteria, un’antica tradizione diventata una rassegna di culto che ogni anno attira migliaia di persone e “tenori” infiascati da tutta Italia.
Origini antichissime, radici profondamente legate alle tradizioni locali di un tempo.
Nome in codice: “Lengalosta”. Definirlo un gioco sarebbe riduttivo. Per gli abitanti di Vallio Terme rappresenta più una ritualità d’altri tempi, perduta e ritrovata. Fino alla metà degli Anni Cinquanta, infatti, a Salvandine, era consuetudine per gli abitanti di questa contrada riunirsi per festeggiare la Pasquetta in maniera piuttosto insolita: venti uomini, uno per famiglia, solitamente il capofamiglia o, in assenza di questi, il primogenito maschio, si sfidavano in un’interminabile gara di bocce.
Ognuno portava con sé la propria, di legno, come era abitudine a quei tempi e molte avevano impresso a fuoco il soprannome del proprio casato. Usando la strada sterrata come campo di gioco, oppure alcuni scorciatoie acciottolate, gli spericolati contendenti lanciavano il pallino e poi le bocce. Colui che si avvicinava maggiormente al pallino, conquistava un punto, ottenendo così il diritto di impugnare un lungo bastone decorato detto “testémone” e, con quello in mano, aveva l’onore di creare un lancio particolare con uno stile personalissimo: chi tirava sotto gamba, chi girando la schiena, chi con la mancina, chi con entrambi le mani…La fantasia si esprimeva anche in brevi frasi o motti che tutti i concorrenti dovevano ripetere correttamente pena la riduzione del punteggio. Il tutto veniva valutato con una votazione assegnata da un giudice di gara o capo gioco e inserito in una classifica.
Poi si continuava: un altro tratto di strada, un’altra partita, un altro stile, l’ennesima facezia e, così via, percorrendo circa i ¾ del paese in un saliscendi continuo. Il gran vociare, le sonore risate e la polvere sollevata mettevano sete e, allora, ad ogni osteria c’era una pausa ristoratrice con vino novello, uova sode, salame fresco e una “cantadina” tonificante. Naturalmente lo svago non era riservato solo ai giocatori, ma anche ai molti curiosi che seguivano la kermesse incitando, schernendo, cantando e bevendo. All’attraversamento di ogni contrada il loro numero aumentava sensibilmente: le donne e i bambini osservavano, gli uomini si accodavano all’allegra brigata. La conclusione, al tenue lume delle lucerne, avveniva a sera inoltrata proprio nel luogo dove il tutto aveva avuto inizio. Lì si sommavano i punteggi e, stilata la classifica, il vincitore riceveva in premio un fiasco impagliato artisticamente di buon vino rosso che doveva tracannare a garganella, seduta stante, ricevendo il plauso della frazione. L’anno successivo era suo l’incarico di rimettere in palio il fiasco pieno di buon nettare e di dare il via alla nuova competizione.
Nei decenni successivi, purtroppo, la tradizione subì variazioni nel numero dei giocatori, nell’origine degli stessi e nel premio in palio. Il simbolico titolo di “Vincitore della Lengalosta” venne sostituito da un compenso in denaro, perdendo, così, irrimediabilmente la propria originalità.
Vallio è anche il paese dei canti d’osteria, un’antica tradizione diventata una rassegna di culto che ogni anno attira migliaia di persone e “tenori” infiascati da tutta Italia.
L’avvento dell’asfalto, poi, determinò il tramonto di questa pittoresca manifestazione, facendo perdere chissà dove le tracce della Lengalosta. Che però negli ultimi anni, grazie all’impegno della Pro Loco e alla passione di alcuni giocatori di vecchia e nuova generazione, è ritornata al futuro trovando la sua dimensione in alcune manifestazioni folcloristiche, riscuotendo lusinghieri consensi sia dai locali che dai turisti.
In effetti, assistere a una partita dal vivo è un’esperienza entusiasmante e ai confini della realtà, stupendamente fuori dal mondo e fuori dal tempo: proprio come una volta, si comincia infatti con un agile simposio propiziatorio a base di salame nostrano e vino locale; quindi la partita – alla quale rispetto alle origini oggi partecipano con gran disinvoltura e tocco millimetrico anche le donne del paese – può iniziare e nel giro di tre-quattro tiri è molto probabile che il terreno di gioco sia diventato il sentiero di un bosco, con effetti collaterali annessi e connessi… Da lì in poi vale (quasi) tutto, a patto di non tradire le regole rigorose sciorinate sopra, immutabile dna di un gioco più unico che raro, sempiterna usanza folk lontana però da dogmatismi forzati. Giacché a prevalere alla fine, ancor prima del vincitore, è lo spirito ludico e conviviale, vera essenza della Lengalosta.
A Vallio Terme altre tradizioni analoghe resistono agli urti del tempo e della modernità: il caso più emblematico è quello dei canti d’osteria.
totale goliardia all’alba del giorno dopo in perfetto stile “afterhour” Tra fiumi di vino, prese di spiedo, nostalgie d’amore e frammenti di vecchie memorie locali
“Vallio Terme era un paese dove negli anni Cinquanta e Sessanta era abitudine cantare ovunque, nelle osterie come nei campi mentre si faceva il fieno, era una delle prerogative e delle caratteristiche della nostra comunità” ricorda Floriano Massardi, consigliere regionale e assessore alla cultura del comune di Vallio. “Poi via via questa tradizione scomparendo e così, nel 2018, abbiamo pensato di recuperarla e valorizzarla organizzando la prima rassegna dei canti d’osteria, che ha portato a Vallio migliaia di persone e gruppi provenienti da tutta Italia”.
Proprio come l’ultima edizione, la terza dopo lo stop causa Covid, andata in scena lo scorso settembre e finita in totale goliardia all’alba del giorno dopo in perfetto stile “afterhour” Tra fiumi di vino, prese di spiedo, nostalgie d’amore e frammenti di vecchie memorie locali, la rassegna – conclude Massardi – “vuole rievocare l’espressione più genuina della musica popolare, riproposta attraverso canzoni tramandate nelle osterie, nelle strade, nelle sagre, nel lavoro nei campi e nelle feste familiari. Un tempo le osterie erano luoghi abituali di ritrovo e socializzazione, ma che purtroppo stanno scomparendo insieme a una parte di patrimonio culturale di un’epoca e di un mondo”.
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