Slava: storia di un ribelle al contrario

testo: ELIA ZUPELLI
Fotografie: SIMONE BUCCINNA’

“POI DOMANI BO” 

SANGUE MISTO SLAVA, STORIA DI UN RIBELLE AL CONTRARIO  

Mangia sano, non beve alcolici, va a letto alle sette di sera e si sveglia alle quattro di mattina. Non ha tatuaggi, non beve, ha l’aria da bravo ragazzo. Grande, grosso, rime taglienti e cuore di panna: Vyacheslav Yermak in arte Slava (diminutivo del suo nome di battesimo) arriva a Sale Marasino sotto un sole rovente, a bordo di un kayak dal quale pagaia pesante e ad ampie folate. Solo qualche giorno prima dal suo profilo Instagram – 130mila agili follower – aveva pubblicato una foto amarcord, piccolo piccolo in braccio alla madre, con dedica speciale: “Merito tuo se non stiamo sotto le bombe”. Take a walk on the wild side: “Sono meticcio, sono senza terra, sono straniero dappertutto”. Dagli esordi vernacolari con “POTA F**A ALÜRA ENCÜLET” (feat. Frah Quintale) alla svolta impegnata dopo la guerra in Ucraina, sua terra d’origine, passando attraverso i “Quartieri del sonno”, frammenti di un’epopea umana e artistica straordinaria e al tempo stesso straordinariamente normale. Ventotto anni (ne dimostra anche meno), faccia pulita, filosofia straight, il rapper figlio dell’est Europa post crollo dell’Unione Sovietica, bresciano d’adozione, parla di sogni, speranze, utopie e disillusioni. Con rabbia e dolcezza. Tra barre senza filtro, smania di riscatto e nuove ambizioni, la sua musica è un urlo di libertà in faccia alle nuove generazioni: “Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo, perché fidati, il presente è l’unica certezza”. 

 

Slava benvenuto a bordo. Parlaci del tuo rapporto con l’acqua. 

Se dove mi trovo non c’è acqua io sono finito. Mi viene un’angoscia che non avete idea. Soprattutto d’estate. Sono abituato al lago, sono cresciuto qua. Come potrei farne a meno?. 

 

Prima dell’Italia, l’Ucraina. Prima di Sale Marasino, Kharkov, una piccola cittadina a trenta chilometri dal confine russo… 

Purtroppo in Ucraina ci sono le pozze radioattive, altro che acqua. La prima volta che sono andato al mare in Ucraina è stato quando mamma venne in Italia, sul lago d’Iseo, a cercare fortuna e ci spedì i soldi per andare in vacanza. Ci andai con mia nonna, ora vive qua pure lei, come mio padre, che è originario del Donbass.  

Che ricordi hai dell’infanzia? 

Belli e molto sereni. Niente internet, niente social, niente di niente…Non avevo termini di paragone e tutto sembrava perfetto nonostante la storia fosse un’altra. Là erano tutti poveri e nessuno era povero. La mia vita era il quartiere.  

Cos’hai pensato quando sei arrivato per la prima volta in Italia? 

Era notte, non si vedeva niente. Mi sono svegliato e avevo un balcone che guardava il lago. Fu pazzesco, straniante, ora però non mi fa più effetto. Consiglierei a tutti i bambini di nascere nella miseria e scoprire poi il resto: solo così si apprezzano veramente le cose. 

Si dice in giro, e la tua pagaiata leggiadra lo conferma, tu sia un grande sportivo. E’ così? 

Diciamo di sì. Faccio molto sport, noi ucraini siamo abituati a una vita dura. Qui o si va al lago o si va a camminare, metà della gente ha gli scarponi, metà ha il kite. Io ho entrambe le cose.  

Quali sono i tuoi segreti per mantenerti in forma

Non sono malato ma cerco di essere costante nell’alimentazione. In realtà mangio come un tricheco, 500 grammi di pasta o una padella di riso con ceci o altre cagate. Robe orrende.  

Cucina italiana o cucina ucraina? 

Viste le mie origini non ho questo problema col cibo come in Italia. Mi spiego: essendo abituato male, mi va bene tutto. Il mio piatto preferito comunque è il borsch, una zuppa tipica a base di barbabietole e altri ingredienti, ma ormai la mangiamo molto raramente: mia madre cucina ‘in italiano’, si è schierata. 

Come mantieni viva invece la memoria della tua lingua? 

Purtroppo tendo a dimenticare come si parla, negli anni ho perso l’accento e ciò mi fa dispiacere. In questo periodo sto cercando di migliorarmi ripassando degli audiolibri in russo. 

E con l’italiano come te la cavi? 

Direi benone. Però non parlo con l’accento da politico, lo detesto, è finto. Il risultato è che parlo come una specie di Ivan Drago. 

Cosa non sopporti dei politici a parte l’accento? 

Mi danno fastidio. Perché non parlano a me, non parlano al popolo, sono artificiosi, sono falsi, sono finti appunto. E io detesto la finzione. 

Ci sta, troppi buoni sentimenti fanno male. Eppure non sembri un tipo incazzato col mondo.  

Direi di no, anzi l’esatto opposto. Sono pulito, sono me stesso. Tutti indossano i pantaloni larghi? Bene io li metto stretti: è un modo per distinguersi. Ma è anche marketing, tutti sono tatuati e io sono pulito.  

Non ti piacciono i tatuaggi? 

Mi piacciono anche a dire il vero, più che altro non ho sbatta di farli.  

Tanto hai parlato e raccontato di questa guerra in questi mesi. Tanto ti sei mobilitato direttamente, tra raccolte fondi e azioni di beneficenza, tanto ti sei esposto mediaticamente e artisticamente (“Real Talk Special”). Ti aspettavi tanta attenzione? 

Ho saputo per la prima volta di quello che stava succedendo da un parente ucraino, svegliato dalle bombe, all’alba del 24 febbraio, mentre ero in palestra. Il profilo in due giorni era intasato, ricevevo tag ovunque. Mi sono trovato a fare il reporter perché non c’era ancora nessuno, le tv sono arrivate lì due giorni dopo e intanto siti e giornali prendevano le notizie da me.  

Che effetto fa sapere che ancora tutto continua, che in Ucraina è guerra “cronica”.  

Non c’è molta scelta, parliamo di mezze dittature. Là se ti dicono vai a sparare a quello tu prendi e vai a sparare a quello. C’è molta ignoranza, indottrini le persone con due stronzate. Fateci caso: non prendono gente di Mosca, ma gente della Russia “vera”, dai campi, lì neanche hanno internet. Se gli dici che i nemici hanno otto braccia e mangiano le loro madri quelli ci credono. Ho un botto di amici russi di Mosca e nessuno è favorevole a questa schifezza. Ma è normale. Chi sano di mente sarebbe favorevole!? E’ una roba talmente grande che non ci aiuterebbe neanche un algoritmo a decifrarla e chi ne paga le conseguenze purtroppo sono le persone. 

Pensi sia calata l’attenzione generale rispetto a questo tema?  

C’era da aspettarselo. Del resto non si può essere interessati a tutto e ognuno ha il sacrosanto diritto di interessarsi o sentirsi coinvolto in ciò che vuole. Penso che nella vita non esistano verità assolute, solo diverse visioni del mondo.  

Parliamo anche di musica?  

Ok. 

Prima però un passo indietro. A che età hai avuto il primo contatto con l’arte? 

Credo alle superiori. Avevo la media del 7, se non consideriamo la condotta. Una volta esposero delle specie di sculture a forma di cilindro che mi sembravano veramente brutte. Assieme ad alcuni amici per ridere le spostavamo nei bagni, la cosa andò avanti per mesi. Al che alzammo l’asticella: le spostammo nel bagno e ci defecammo sopra. Ovviamente mi beccarono. “E’ un gesto di protesta, un gesto artistico, tra Duchamp e Manzoni: se non lo riconoscete siete messi male”, provai a giustificarmi con preside e professori. Ma non servì a niente. Fui sospeso ma allo stesso tempo mi si aprirono le porte del paradiso, mi creai una certa fama in tutto il liceo. 

Quando e come è entrato il rap nella tua vita? 

Tanti anni fa, totalmente a caso. Come tutte le cose nella mia vita. Il pezzo che mi ha rivelato la strada è stato “Butterfly” dei Crazy Town. L’avevo registrato su una cassettina e siccome al tempo non c’era internet per tre anni di fila ascoltai solo quello. 

Altri artisti che hai amato e che ti hanno influenzato? 

Eminem, Mondo Marcio.  

Un artista che ammiri oggi. 

Blanco, ha un’energia spontanea, istintiva. E’ molto forte.  

Ti piacerebbe collaborare con qualcuno di loro? 

Non per tirarmela ma davvero oggi non ho un mito. Un tempo idolatravo Bassi Maestro, poi quando l’ho conosciuto mi è sceso parecchio. Spesso va così. 

Come nasce un tuo pezzo? 

In modo molto poco romantico. Mi metto davanti a un tavolo e comincio a scrivere sul beat finché non esce una canzone. Io non faccio il produttore, non produco musica. Io trovo una roba on line, ci scrivo sopra, la porto in studio da un produttore e rifà il beat. Adesso fra i ragazzi acquistare i diritti è la normalità, penso a Rhove che comprando un beat da 50 euro ha fatto una hit da 50 milioni. 

Con che producer lavori? 

Ai tempi con Drillionaire, che nel mentre però è esploso e oggi lavora con Sfera e Tony Effe e quindi non gli sto più in mezzo alle gambe. Oggi con diversi amici tra Milano e Brescia. Ma ripeto: io comprerei anche i beat on line, anzi mi farei pure scrivere le canzoni.  

Comodità 100%, non sarebbe male.  

Intrattenere le persone è quello che a me veramente piace, che mi dà adrenalina. Questa è una cosa certa al 100%. Il processo di scrivere le canzoni paradossalmente un po’ mi annoia. Certo se poi esce il pezzo figo è un’altra storia.   

Generi? 

Trap, drill, dubstep…le mode cambiano, ma poi torna sempre rap: è il ciclo della vita.  

Stai lavorando a nuove tracce? 

Entro l’estate uscirà un nuovo singolo. Sarà un pezzo allegro, fresco, dopo questi mesi così cupi ho voglia di tornare a fare musica con un po’ di leggerezza.  

Chi ha iniziato a seguirti come “reporter” durante la guerra pensi continuerà a seguirti anche come rapper? 

Senz’altro darò uno scossone, chi vorrà andarsene se ne andrà chi ama la mia musica resterà, non è un problema. La verità è che voglio cambiare strada.  

E il disco sull’Ucraina? 

Come promesso, uscirà non appena finirà la guerra. Speriamo molto presto. 

Hai un’etichetta? 

Sono sotto contatto con Believe per due dischi. Uno, “Equilibrio”, purtroppo è uscito durante la pandemia ed è andato smenato. Avevo anche mollato il lavoro per dedicarmi completamente alla musica ma alla fine per via del Covid non sono riuscito a fare nemmeno mezzo live con quel disco. Comunque vada, di certo non farò più lo stesso errore: prima di mollare le mie ancore mi accerterò non sia in arrivo un’altra pandemia.  

Qual è il tuo sogno? 

Vivere facendo quello che mi piace. Cioè la musica.  

Che rapporto hai con il denaro? 

Ambizioso ma non esoso, mi basterebbe fare 50mila euro all’anno. 

E con il tuo corpo? 

Un tempo pensavo che andare alle serate fosse utile, che servisse per farsi dei contatti. Poi un giorno ho scoperto che Bill Gates si svegliava alle 5 del mattino. Così ho pensato: io mi sveglierò alle 4. E così ho iniziato a fare. Per compensare vado a letto prestissimo, evitando di stare a cazzeggiare su Netflix. 

Costa rinunce e sacrifici condurre uno stile di vita monastico a 28 anni? 

Neanche più di tanto. Mantengo questa routine da oltre un anno, ormai ci sono abituato. In generale penso che in questo momento nel mondo non ci siano grandi prospettive, per cui sto investendo su me stesso: ho una macchina, una moto, un kayak se non me l’avranno rubato al termine di quest’intervista…cerco di essere fisicamente e mentalmente in forma. 

Cosa leggi? 

Libri di economia, imprenditoria, psicologia. Ultimamente mi sono comprato anche il codice civile italiano. Ho iniziato da poco a leggerlo, pensavo fosse più complicato. Più in generale diciamo che leggo tutto quello che penso potrebbe essere utile al mio futuro.  

Come te lo immagini, come ti immagini? 

Oggi mi vedo come una piccola azienda che produce musica, che ha solo un dipendente ogni tanto qualche stagista che mi fa da dj o producer: l’obiettivo è ampliare questa azienda, creare una vera e propria azienda basata sull’intrattenimento. Ho già il nome: Slava Entertainment. 

Sei innamorato? 

Sì, di una ragazza. La stessa, da anni. 

Non sei mai triste? 

No, trovo sempre il lato positivo delle cose. Mi piace troppo la vita per essere triste.