Cascate del Serio: il rito dell'acqua che cade

testo: VALERIANO IOSCA
Fotografie: DAVIDE SARTORI, MASSIMILIANO MAINO, SUSAN PERAN

19 giugno, è la prima apertura delle cascate del Serio del 2022.

A dire il vero questa è la prima apertura pubblica dal 2020 e tra le persone che cominciano a raccogliersi nei pressi del palazzetto dello sport di Valbondione, si percepisce uno strano senso di attesa misto a odore di pulito, e un silenzio propiziatorio, come quando si è un pochino emozionati. Solo i cani scalpitano, tirano e abbaiano tra loro. Vengono trattenuti ma vorrebbero annusarsi o forse litigare o ancora scappare, come fanno quando sentono che la natura si sta per scatenare.  L’ufficio Turismo di Valbondione ha messo a nostra disposizione Marcello, una guida alpina che ci accompagnerà lungo il sentiero CAI 332, per una camminata di circa 5 chilometri, superando un dislivello di quattrocento metri, fino ai Grandi Macigni da dove sarà possibile vedere lo spettacolo. “Spettacolo”, proprio così lo chiama, più di una volta. Partiamo mentre le auto continuano ordinatamente ad arrivare e in tutto il paese i gruppi si organizzano, si cambiano e si incamminano. Vediamo famiglie con bambini, signore e signori con e senza cani, ragazzi con gli zaini di scuola pieni di birre,  genitori con in spalla figli piccoli che dormono, sportivi molto attrezzati e coppie in abbigliamento casual col cane in braccio e in mano il cornetto integrale ai frutti di bosco. Persone di quasi tutte le età e le taglie sono qui per partecipare, per vedere l’acqua che cade dalla montagna. È una bella sensazione ma è anche strano. Cosa stiamo facendo realmente? 

La prima parte del percorso è ampia, fresca e segue il margine di un fiume Serio ancora cucciolo, che nasce sul monte Torena, poche migliaia di metri più su. Camminiamo tranquilli e comodamente distanziati. Poi il sentiero entra nel bosco, sale e si stringe. All’improvviso siamo tantissimi e passo dopo passo, questa camminata in montagna si trasforma in una affollata processione che a più riprese si ferma e poi riparte. Già da tempo non c’è più traccia né del buon odore di pulito della partenza né della coppia casual col cornetto. 

Uscendo dal bosco, alla luce forte del sole, torniamo ad avere un pò di spazio in più intorno, e riusciamo a vedere chiaramente questa carovana infinita di persone. Un corpo unico e colorato che si snoda giù di nuovo fino al bosco e su fin dove non lo vediamo più, dove il sentiero gira oltre il bellissimo borgo di Maslana. Adesso, tutti illuminati dal sole, forse è possibile intuire che si, stiamo andando a vedere l’acqua che cade dalla montagna, ma che siamo spinti da qualcosa di più profondo e misterioso. Qualcosa che ha a che fare con la nostra stessa natura e con questo pellegrinaggio rituale.

Proseguendo, oltre il ponte della Piccinella vediamo finalmente la cascata. Sottile, tenuta a bada dalle dighe in quota che contengono nel bacino le acque scalpitanti. Piccola il necessario a bagnare le rocce e ad alimentare un pò il fiume. Salendo verso i Grandi Macigni, incontriamo i primi bivacchi e le persone in cammino si sommano a quelle che erano già arrivate o che sono sempre state qui in questo teatro naturale per assistere allo spettacolo dell’acqua che cade dalla montagna, o forse a qualcos’altro. Non lo sappiamo ma i dubbi ormai sono tanti. 

Marcello, la nostra guida, ci fa strada tra la folla. In platea i posti migliori sia all’ombra che al sole sono già tutti occupati e così anche negli ordini superiori di prima e seconda galleria. Lo seguiamo fiduciosi e alla fine infatti ci propone un ottimo punto di vista sulle cascate, ombreggiato, ai margini di un boschetto, ampio e non affollato. L’equivalente di un palco di lusso. Ci sediamo finalmente per organizzare e preparare le nostre attrezzature mentre intorno tutti fanno più o meno la stessa cosa, con allegria, accompagnati da chiacchiere inconsistenti, recuperando così oltre al fiato anche la coscienza di essere ancora umani tra umani. Così viene consumata l’attesa residua, chiacchierando di poco con leggerezza, con le gambe intorpidite e le scarpe slacciate. 

 

D’un tratto dall’alto della montagna parte una sirena, di quelle che fanno paura, che sembrano preannunciare un attacco aereo o peggio, un nuovo turno in fabbrica. In questo caso siamo in attesa di vedere uno spettacolo e come la campanella in teatro, la sirena ha la funzione di richiamare il pubblico e invitarlo a salutare l’amico delle elementari incontrato per caso dopo trentaquattro anni. 

Tutti gli occhi si rivolgono alla cascata, un drone si alza con il suo ronzio acuto mentre nella valle scende un silenzio che ci fa vergognare per il drone. La tensione sale e rimane alta per qualche minuto in cui non succede nulla, il chiacchiericcio poi riprende, la tensione scende e il drone pure. 

Seconda sirena, è quella vera, lo immaginiamo e prendiamo posizione con le nostre macchine fotografiche e i nostri telefoni puntati sulla cascata. Pochi minuti e l’acqua comincia a cadere “sul Serio”. Quasi al rallentatore compie il primo salto a dissetare le rocce arse. Ci vuole un po’ per rivederla affrontare il secondo e poi il terzo salto fino a raggiungere quella forma iconica che tutti abbiamo già visto almeno in fotografia. Scroscia forte il getto potente e per sette minuti ne rimaniamo tutti rapiti.

Poi, ancora magicamente sincronizzati, riponiamo telefoni e macchine fotografiche e diamo fondo alle nostre provviste, affamati e appagati.

Adesso forse è chiaro, si tratta di un rituale di accoppiamento simbolico, dove il primo grande getto è quello che conta, quello a cui dovevamo partecipare, che insemina, feconda e che dona la vita. L’acqua poi proseguirà a cadere dalla montagna per altri ventitrè minuti con una portata di cinquemila litri al secondo nella semi indifferenza delle oltre tremila persone presenti.