testo: DIEGO RUGGERI, VALERIO BORGONUOVO
Fotografie: AMANDA PRIMOMO, DAVIDE SARTORI, ELISA PELLEGRINI, GIOELE FERRETTI,
MARTINO RAVANELLI, NICOLA RAUSSE, SOFIA CASSADER, STEFANO CUCCHIARA
Quartiere del Carmine. Osteria Aquila Nera, ore 17.15 circa: Oltre il Tondino, questo è il nome dell’iniziativa promossa da Lara, guida turistica e curiosa figura che racconta, nel suo continuo “itinerare”, la Brescia della memoria; quella dei luoghi antichi che vivono oramai quasi solo nei ricordi e nei racconti che si perdono nel tempo; e che Lara ha la capacità di intrecciare col quotidiano. In virtù di ciò le chiedo di parlarci del Carmine, delle sue storie; ma anche del suo mito di luogo di incontro e di rifugio.
moltobene
Sai Lara, sei nel mio vero ufficio. Quando voglio riposare lo sguardo, vengo qui. E guardo con cupidigia e curiosità l’arredo umano di questo luogo.
LARA
Direi che il tuo ufficio è assolutamente spettacolare e bellissimo; e l’arredo umano è forse la parte che lo caratterizza di più. Mio suocero viveva qui. C’è nato e cresciuto, e sai cosa mi diceva quando me ne parlava?: ”Al Carmine ci sono tre cose: trippa, brodo e puttane”. Davvero unico.
Il Carmine in realtà è un quartiere che non esisteva, perché Brescia nasceva tutta di là, tutta a est. Nella parte importante, quella dove si parlava latino e che finiva a Porta Bruciata, dove terminavano le mura. Di qua non c’era nulla o per meglio dire c’erano le paludi che la toponomastica della città ci ricorda coi suoi nomi: vicolo del Laghetto, Contrada delle Bassiche, Campi Bassi. Quindi era una zona ricca di acque; di acque che però non venivano ancora utilizzate. Qui c’era solo la strada che andava fuori, verso ovest, verso l’antica via Emilia Gallica. Poi niente più. Vuoto. Ed è proprio quando hai un vuoto che puoi costruire qualcosa.
moltobene
Mi ricorda il racconto di una delle Città invisibili di Calvino.
LARA
Assolutamente sì, soprattutto quello che succede dopo, quando in Alto Medioevo ciò che c’era prima crolla e da quel cambiamento nasce il nuovo. Si cominciano a fare cose importanti. Le acque vengono incanalate grazie alla nuova tecnologia e la città comincia ad allargarsi proprio da Porta Bruciata, espandendosi anche in termini di una ricchezza che diventerà un po’ il marchio di fabbrica della città, no?
Siamo al Carmine, cuore pulsante di Brescia. Partiamo sotto i migliori auspici per questo secondo viaggio argonautico in un tardo pomeriggio, con la luce plumbea che disreca la materia delle cose.
moltobene
In effetti si dice che Brescia sia una città operosa.
LARA
Esatto, una città che ha fatto dell’etica del lavoro il suo stile di vita: un vero e proprio marchio. Ed è proprio qui al Carmine che nasce grazie all’invenzione della ruota idraulica. Ebbene si, c’erano le ruote idrauliche, e tante anche, sebbene oggi tutti i canali siano coperti, come in via San Faustino dove ci passava il Garza che ci raccontava proprio delle ruote idrauliche, e dell’acqua che voleva dire energia, e quindi possibilità di lavoro. È così che nascono tantissimi opifici, anche perchè dall’altra parte c’era il Bova, deviazione del grande fiume Mella, e da qui dietro passava pure un altro fiume, un canale di derivazione dal nome fantastico, il “Dragone”, che doveva il suo nome probabilmente proprio a quel suono di alito di acqua trascinata che questo canale risucchiava dal Bova quando l’acqua mancava. Quindi acqua importante, acqua della fontana della Pallata, la torre che per alcuni prende il nome da Pallade Atena ma che con maggiore probabilità si riferiva a palada, pali, palizzata, proprio per la necessità di arginare la parte di acque che passava in questa area. Area di opifici dunque, e di mestieri legati alla produzione di pelli in concerie. Concerie che si trovavano però a nord-est perché lavorare le pelli era ed è ancora qualcosa di terrificante. E poi lana, tanta lana e cotone che hanno reso il quartiere popolare e popoloso, dove chiunque avesse volontà e speranza in una vita migliore, in un’opportunità, arrivava di corsa. Però non passano neppure due, tre secoli, che tra il ‘500 e il ‘600 cominciano a comparire i grandi palazzi nobiliari che si vedono ancora benissimo proprio in via della Pace e in via delle Battaglie…e che appartengono agli Averoldi, ai Caprioli, agli Uggeri, ai Fenaroli, ovvero a quelle famiglie che avevano fatto la storia di Brescia dentro le mura, e che a un certo punto si affacciano sul Carmine ingolositi dalla qualità e dalla quantità dei terreni disponibili. Il nome “Aquila nera” sembra derivi da tantissime cose, tra cui la chiesa di San Giovanni. L’Aquila però è anche il simbolo dei Martinengo, importante famiglia bresciana. Insomma le aquile le troviamo ovunque tra queste case che nascono sull’acqua e quindi su un terreno difficile che richiese di addossarle l’una all’altra, vicine, coi muri portanti che si toccano e si collegano in modo da poter essere più solide alla base. Case strette e alte che nulla hanno a che fare con la nobiltà ma che, come si direbbe in Veneto, sono casa e bottega, sopra casa e sotto bottega, con le altane o baltresche dove poter asciugare lana e pelle. E che oggi, nella maggior parte dei casi, sono state chiuse per ricavare loft meravigliosi, dove purtroppo io non abito.
moltobene
Quando ci spostiamo nella chiesa di San Giovanni ciò che si presenta davanti ai nostri occhi è innanzitutto l’Aquila, ma anche simboli e animali mitologici, esseri incredibili che in realtà raccontano storie di uomini così come sono raccontate proprio qui tra i tavoli dell’Aquila Nera.
LARA
La chiesa di San Giovanni è una delle prime della città, quella che conteneva le reliquie portate dall’Oriente. È una chiesa particolarissima, posta fuori dalle mura eppure al centro della nuova cristianità di Brescia. Così nascosta, quasi non visibile, ci racconta davvero dell’alba, dell’inizio. Dentro troviamo la famosa Madonna del Tabarrino del Moretto, pittore che nel Rinascimento lavorò proprio in questa chiesa schiena a schiena col Romanino, precisamente nella cappella del Santissimo Sacramento dove realizzano storie della Bibbia, storie di evangelisti che escono dai riquadri, e di uomini, soprattutto quelli del Romanino, che sono gli stessi che abitano da sempre il Carmine.
E poi c’è la pipì..al Carmine ha una storia importante che risale a Vespasiano, l’imperatore romano che fa realizzare il tempio capitolino, il nostro Capitolium, dove in alto c’è scritto Vespasiano Augusto Imperatore. Quasi tutti lo conoscono per i bagni pubblici, ma Vespasiano è famoso anche per la frase “Pecunia non olet”, “Il denaro non ha odore”, frase pronunciata in seguito alla tassa imposta da questi proprio sulla pipì, che veniva raccolta per l’estrazione dell’acido urico in quanto uno dei componenti essenziali nella lavorazione delle pelli; ma anche della pergamena, che in epoca romana veniva ricavata proprio dalle pelli animali come supporto alla scrittura.
A questo punto vale la pena ricordare la storia del Mostasù delle Cossere con il naso tagliato. Una storia che affonda le radici al tempo terribile di Arrigo Settimo, che vuol dire al tempo di lotte infinite, imperatori, vescovi, giovani uomini che combattono. E se giovani uomini combattono vuol dire che alla fine qualcosa deve essere tagliato. E se un imperatore arrabbiato arriva in una città e vuole giustizia, il suo ego di maschio (passatemela) lo spinge a rifarsi sulla parte più importante di tutti gli uomini, cioè il naso, che nel nostro caso vuole mozzare a tutti gli uomini di Brescia. Si accontenterà, dopo essere stato supplicato, di mozzare i nasi delle statue più importanti. Ecco perché il Mostasù è assolutamente senza. Qui finisce il primo giro di mura, quelle della città romana, dove si trovava quell’incrocio magico fra il Dragone e il Bova.
A Brescia, durante le grandi celebrazioni per la festa dell’Assunta del 15 agosto, si teneva una corsa importantissima che coinvolgeva tutta la città; una corsa di fanti, cavalieri e prostitute divisa per tappe che iniziava a tre chilometri da qui, esattamente dalla chiesetta di San Giacomo al Mella, e da dove i cavalieri partivano per primi, seguiti dai fanti a piedi. Per ultime partivano le prostitute, da quella che oggi è piazza Garibaldi, dalla torre della Pallata. E tutti insieme correvano alla fine verso la piazza del Duomo. La corsa era molto seguita da una tifoseria piuttosto agguerrita. Sembra che soprattutto la corporazione dei mugnai fosse quella che ci tenesse di più, esprimendosi col tiro della farina negli occhi degli avversari. Ma la corsa delle prostitute non era una prerogativa bresciana. La ritroviamo affrescata all’interno del meraviglioso Palazzo Schifanoia di Ferrara.
Le prostitute correvano perché potevano dare spettacolo e vincere tessuti. Era infatti previsto broccato per i ricchi, e cotone per i più poveri. La storia delle prostitute al Carmine inizia però da un’altra parte, ovvero nel vicolo dove c’è la chiesa di San Giuseppe, proprio dietro Porta Bruciata, di lato. A occhio e croce, via Gasparo da Salò. Uscendo da Porta Bruciata, girate a destra. Lì avanti c’è, dall’epoca romana, probabilmente il più antico postribolo di Brescia. Poi le prostitute arrivano al Carmine quando diventa un quartiere popoloso, e popolare; ma ricordiamoci che la maggior parte di esse giunge in primis alle pendici del Cidneo, dove c’è il castello. Soprattutto dietro di esso, nella zona verso San Giorgio che era pieno di soldati. Tra gli uffici, oggi vuoti, nati proprio in epoca fascista, in seguito a sventramenti ed edifici abbattuti troviamo il frammento del portico di un chiostro, quello del monastero di Santa Caterina dove, a metà del sedicesimo secolo, le giovani figlie delle nobili famiglie bresciane furono protagoniste dello scandalo noto come la “storia dei monachini”. Il monastero si ergeva su un appezzamento di terreno acquistato dai Caprioli nel ‘300 per realizzarci un grande monastero femminile che fu teatro di incontri tra giovani uomini e giovani monache grazie a canali sotterranei che sbucavano direttamente sotto i letti delle celle messi a lisca di pesce proprio in questo lato del portico del chiostro.
Lo scandalo esplose quando fu coinvolto il “Comitato dell’onestà dei monasteri”, un nome che racconta già tutta quanta la storia, e per il quale forse perchè l’unica cosa importante era che ci fosse silenzio su quella che era la verità: si poteva entrare e uscire dai monasteri liberamente, purchè non si sapesse in giro. Ciò nonostante, a un certo punto le giovani monache di quel monastero, o una parte di esse, stanche di non poter vivere la propria vita, ma di essere costrette in una cella, fecero esplodere il caso nel quale furono coinvolti soprattutto i giovani della famiglia Caprioli che avevano il palazzo confinante, e di cui fu rasa al suolo una parte per essere sicuri che non ci fossero più scambi. Ma avvicinandoci ai nostri tempi, il Carmine è anche pieno di pietre di inciampo. Dicono: “Qui abitava.., nato nel 1923. Arrestato come politico il 3 settembre del ‘44. Deportato, assassinato il 21 aprile del ‘45. Sono storie importanti, che parlano di un Carmine ribelle, di un quartiere di ideali forti per cui combattere. Mentre per finire non possiamo non parlare del cinematografo, che a Brescia arriva molto presto, agli inizi del ‘900, e che al Carmine ha sale con panche di legno e puzzo di sigaretta, sudore, e umori di una umanità che si mischia. Qui è dove le mamme lasciano i bambini dalle due alle sei del pomeriggio a guardare i film ”western”, mentre loro lavorano; e dove, all’inizio degli anni Settanta, arriva il cinema “a luci rosse”, rosse come le lanterne lasciate accese fuori dal postribolo dagli antichi ferrovieri per essere rintracciati quando il rifornimento del treno era terminato e bisognava ripartire. Ecco da dove nascono quelle famose luci rosse, ed ecco perché dove oggi è la Polizia di Stato, si trova il primo cinema a luci rosse di Brescia: il Moderno. Perché quando c’è richiesta qui le risposte arrivano pronte e subito. moltobene.
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